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drone sulla faccia conosciuta della terra — le vinsero ed inflissero loro la più umiliante delle ignominie, quella di farle passare curvate sotto le forche erette per oltraggiarle.

Se il Sannio fosse stato compatto come la potenza di Roma in quei tempi, forse le ugne dell’aquila dei sette colli non avrebbero lasciato le loro impronte sul mondo. — E dove sono le vestigia di quelle popolazioni guerriere, di quei superbi vincitori dell’orbe, di quei robusti discendenti dei Marzi? Essi si sedettero al desco dei dominatori, ne divisero le prede e con essi furono inghiottiti dal vortice di corruzione ove si tuffarono tutti i satelliti dell’universale tirannide!

Redenti dal risorgimento italico, perchè quelle belle razze d’uomini non appariscono più al cospetto degli altri popoli conformi alla loro natura agili, forti, intemerati, insofferenti di servaggio? Dimandatelo ai preti per cui oggi si chiaman cafoni; ai preti ch’ebbero il talento di farne popolazioni di sagrestani, curvi, gobbi, col collo torto a forza di baciamani e di genuflessioni; ai preti che insegnarono loro l’odio agli uomini liberi, alle libere istituzioni, alla scienza ed ai suoi grandi cultori, all’indipendenza patria; ai preti infine che insegnarono loro a disprezzar l’Italia e a tradirla!

Isernia, capitale dell’antico Sannio occidentale, potrebbesi intitolare, come Palermo, la conca d’oro. Circondata dalle alte cime del Matese —