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capitolo lvii 335


In tutti i zig-zag della strada che da Rionero va ad Isernia, v’erano fossi, barricate e truppe nemiche imboscate. I prodi militi di Nullo caricavano qualunque imboscata e la conquistavano a misura che si scopriva, ma ogni volta, pei tiri accertati dei cacciatori borbonici, essi lasciavano qualche vittima, ed il numero dei feriti cresceva, con grande imbarazzo dei nostri, in un paese ove tutti fuggivano, e portavano via gli animali ed ogni specie di veicoli. L’unico mezzo per portare i feriti era dunque quello delle barelle, costrutte come si poteva, e con grande spreco di gente per portarle — ciocchè menomava orribilmente il numero dei combattenti.

Così si giunse sino alle porte d’Isernia, ove Nullo, credendo di trovare seria resistenza, aveva prese tutte le precauzioni per l’attacco che ad un capo come lui suggerivano la risoluzione e l’esperienza.

Quale fu lo stupore dei nostri quando gli esploratori vennero indietro annunziando che la città era deserta di nemici e di popolazione! E veramente tutta la brigata entrò senza verun ostacolo.

Se nei paesi ove si compiacciono di scialacquare gl’invasori — come l’Italia, per esempio, ed oggi un po’ anche la Francia — si facessero ai nemici le accoglienze fatte da quei d’Isernia ai trecento, per ordine di monsignor Corvo; io sono sicuro che succederebbe come successe in Spagna ed in Russia agli eserciti del primo Bonaparte — lezione che ha fatto inviolabili i territorii di que-