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Pagina:Garibaldi - I Mille.djvu/426

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Invece del deserto, graziosissime cascine con orti verdeggianti ed alberi carichi d’ogni specie di frutta, pianure immense coperte di biade color dell’oro.

E ciò che più mi stupiva nello stato mio di ammirazione, era il brulichìo di gente tutta occupata ai diversi lavori della campagna.

Qui i carri carichi d’ogni ben di Dio e maestrevolmente guidati da preti, dal sacrestano agli eminentissimi; e, ben fissando, scopersi nella folla dei chercuti anche un santissimo padre, non più panciuto e colle pantofole dorate, ma calzato con un buon paio di stivali, snello e robusto che consolava il vederlo. Egli mi sembrava occupato a dirigere i lavori ed a stimolare alcune schiene diritte di quei buoni curati che avevano passato la loro vita tra il fiasco e la Perpetua.

Là altri servi di Dio, facili a distinguersi dalle chieriche, che colla vanga, colla zappa o coll’aratro, lavoravano la terra ch’era una delizia.

Le strade ferrate solcavano la vasta e ricca campagna in tutte le direzioni, e mi sembrò di distinguere sulle locomotive, facendo le funzioni di macchinisti, fochisti, ecc., una quantità di finanzieri d’ogni classe, di pubblica sicurezza, di impiegati al lotto e tanta altra gente inutile alla società ed ora resa utilissima.

Ora, dicevo tra me, capisco la meravigliosa trasformazione della campagna romana mettendo all’opera tutta cotesta schiera di fannulloni. — E che sarà quando i quattro o cinquecentomila gio-