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capitolo settimo. 437

via romana, da dove potevano giungere soccorsi ai nemici, s’erano ammassate per l’assalto decisivo di porta San Rocco. Frigezy doveva attaccare simultaneamente la città da levante e possibilmente incendiarvi pure la porta del castello.

L’attacco era deciso per le quattro antimeridiane del 25. I nostri poveri volontari nudi, affamati, e con le poche vesti bagnate, si erano sdraiati sull’orlo delle strade, che le dirotte pioggie dei giorni antecedenti avevano colme di fango e rese quasi impraticabili. Benché spossati dalla stanchezza, anche nel fango si sdraiavano quei bravi giovani! Confesso che quasi disperavo di poter rialzare quei sofferenti per V ora dell’assalto, e volli dividere la loro miserabile situazione sino verso le tre antimeridiane, seduto tra loro.

A quell’ora gli amici che mi attorniavano mi chiesero ch’io entrassi un momento nel convento di Santa Maria, distante pochi passi, per sedermi all’asciutto, e mi condussero, unico sedile, in un confessionale ove stetti pochi minuti.

Non appena seduto ed appoggiate le spalle, addolorate dallo star molto tempo in piedi, un rumore come di tempesta, un grido solenne d’una moltitudine di nostri che si precipitavano sull’uscio della porta ardente, mi fece sussultare e correre con quanta celerità potevo verso la scena dell’azione, gridando anch’io: «Avanti!»

Incendiata intieramente la porta, colpita da due piccoli nostri cannoncini che sembravan due cannocchiali, e non presentando più che un mucchio di rovine ardenti, di cui si aspettava l’estinzione, i nemici ritentavano di barricarla nuovamente, e cominciavano ad avvicinarvi carri, tavole ed altri oggetti di ostruzione. Questo però non garbava ai nostri, cui tanta fatica e pericolo aveva costato lo incendiarla. Il primo oggetto che si presentò alla porta, spintovi dagli zuavi, fu un carro, ma non ebbero tempo di metterlo a posto. Una scintilla elettrica d’eroismo si sparse come il fulmine nelle fila dei