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capitolo settimo. 439

tata per il mutismo e l’indifferenza, quasi per l’avversione, manifestata verso di noi, e devo confessare che disordini non ne mancarono. Tali disordini impedirono pure di poter organizzare dovutamente la milizia nostra, quindi poco si potò fare in quel senso nei pochi giorni che vi soggiornammo.

Colla speranza di poter meglio organizzare la gente fuori, tenendola in moto, toglierla ai disordini della città ed avvicinarci a Roma, uscimmo da Monterotondo il 28 ottobre ed occupammo le colline di Santa Colomba. Frigezy facendo la vanguardia occupò Marcigliana, e spinse i suoi avamposti sino a Castel Giubileo e Villa Spada.

Nella sera del 29 trovandomi io a Castel Giubileo, mi giunse un messo da Roma, che avea parenti nella colonna, ed era quindi conosciuto, il quale mi assicurò esser i Romani decisi a fare un tentativo d’insurrezione nella notte stessa. Ciò m’imbarazzò alquanto, non avendo tutta la gente sotto mano. Nonostante, mi decisi a spingermi io stesso con due battaglioni di bersaglieri genovesi sino al Casino dei Pazzi, a due tiri di fucile dal Ponte Nomentano, nell’alba del 30.

Una guida nostra, e un ufficiale, che giunsero prima nel Casino stesso, v’incontrarono un picchetto nemico e vennero con quello a colpi di revolver. La guida fu ferita leggermente nel petto, e siccome era maggiore il numero de’ nemici, i nostri si ritirarono, avvisandomi con altri tiri della presenza dei papalini. Ma fecero tutto ciò con sangue freddo e da valorosi. Retrocedemmo da quel punto, all’incontro dei due battaglioni in marcia, e subito ch’essi arrivarono si occupò il Casino dei Pazzi, le Case della Cècchina, ch’è uno stabilimento pastorizio ad un lungo tiro di carabina a tramontana dal primo, e la strada fiancheggiata da un muro a secco, che va dal Casino alle Case. Rimanemmo tutto il giorno 30 in quella posizione, aspettando di udire qualche movimento in Roma o qualche avviso dagli amici di dentro, ma inutilmente.