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cavalcava davanti. Ma trascorsi appena pochi chilometri di via, un temporale che s’era quetamente agglomerato sul capo dell’allegra colonna, si scatenò con tale turbinosa violenza d’acquazzone misto a grandine, orribilmente intersecato da tuoni e lampi, che il Generale fu costretto a farla retrocedere, allo scopo di riaverla e riassettarla col pernottare nel testé abbandonato Merate.
Durante la notte, che continuò brontolona e tempestosa, come il vespro che l’aveva preceduta, molti di que’ giovani militi, più agguerriti dall’entusiasmo del buon volere, che dall’abitudine alla travagliata vita militare, affranti dalle rapide corse e da quel complesso di persecuzioni atmosferiche, trovaronsi così seriamente indisposti, da far temere potessero pel susseguente mattino presentarsi ristabiliti e pronti alla nuova marcia, ai forse supremi cimenti.
Ma una splendita alba, salutata dagli squilli delle trombe che pareva invitassero, non solo a riprendere l’interrotto cammino, ma ad ingaggiar battaglia, risollevò nei malfermi, colle riposate membra, gli abbattuti spiriti, sì che in poco più di mezz’ora l’intera colonna sbarazzata, per ordine del previdente Generale, dei rispettivi zaini e fardelli, destinati a raggiungerla a seconda degli eventi, si slanciava più agile e spedita a percorrere la via.
In Cernusco Lombardone, piccola borgata che dista da Merate 3 o 4 chilometri, fu permesso alla colonna breve sosta, onde fornirsi di pane (generosamente elargito dal Comune) per poter reggere alla lunga marcia prefissa.
Il generoso proposito, l’ardente desiderio d’arrivare in buon punto sotto le dilette mura della già investita Milano, percorrendo come elettrica scintilla le file della giovine coorte, la facevano più rassegnata alla noja, al disagio del cammino, ancor fangoso pel recente acquazzone, all’inevitabile incubo della canicola estiva; ond’è che coll’accrescersi del numero dei divorati chilometri, pareva si raddoppiasse in essa la lena a raggiungere la desiata meta.
Toccati quindi, con brevissime soste, i brillanti comuni di Osnago, di Usmate, di Arcore, trovossi, per le due dopo mezzodì, giubilante a Monza: dove fu concesso dai Capi riposo, sotto il selvoso sentiero che conduce al giardino reale e per esso al famoso parco.