Pagina:Garibaldi e Medici.djvu/23

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spose al generoso patriottico invito. Alla abnegazione necessaria in quel difficile momento, e richiesta dal magnanimo scopo di tentare uno sforzo supremo, ognuno d’essi preferì ricondurre negli Stati Sardi il proprio branco di soldati, qualcuno certo colla mira di far salve le pericolanti spalline.

Ecco infatti con quali severissime parole l’eminente e coscienzioso abate Luigi Anelli nella sua Storia d’Italia1 descrive questo calamitoso istante attraversato dalla disgraziata nostra patria.

«In condizioni sì infelici di virtù che ora il terrore, ora l’interesse erano consiglieri ciascuno di codardia, non tutto però andò contaminato d’infamia, e le Legioni di Giuseppe Garibaldi e di Giacomo Medici, tutte fuoco di generoso ardire, levata la bandiera: Dio e Popolo obbedivano unicamente alle ultime necessità. Animate da altre speranze, quali sull’ingrandir del pericolo suole immaginare la brava gioventù, come intesero a qual prezzo il re si salvava dai mali della guerra, dissero: la natura averci dato il ferro per fuggire il servaggio; comperar pace a peso d’ignominia non essere da soldato italiano, e la capitale d’un regno stare dove i forti si stringono in falangi, pronte a morire prima di abbandonare la patria alle miserie di servitù».

E appunto in questi nobili sensi si espresse poscia il generale Garibaldi, favellando agli strenui avanzi della decimata Legione, dopo averla guidata e schierata in ordine di battaglia sulla raggiunta piazza del vicino San Fermo. «Apparecchiatevi, disse loro, a tutti i disagi di una lotta disastrosa ed ostinata; è d’uopo siate parati all’insonnia, al digiuno, alla fame. Abbiate però fiducia nel vostro Capo, che, in mezzo a tanto cumulo di sventure, vuol salvo almeno da bassezza, da viltà, da infamia il nome Italiano».

Sopraggiunta la notte, sciaguratamente favorevole a nuove diserzioni, avviò l’assottigliata colonna a marcia forzata verso Varese. Arrivato sul far del giorno (8 agosto) alle porte della

  1. Capo IV, vol. 2, pag. 232-233. — Giuseppe Mazzini, Op. VII, 178, ci lasciò scritto: «Anelli, unico per fede, per onestà incontaminata, e senno antiveggente in quel gregge di servi (Governo Provvisorio di Lombardia)».