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CAPITOLO PRIMO.


Arrivo di Garibaldi a Milano

e formazione d’un Corpo di Volontari.


Bella fama, quasi foriera d’uno splendido futuro, precorreva in patria il quarantenne Nizzardo, che fino dall’adolescenza collo svegliato ingegno, colla esemplare rigidezza del costume, colla indomita fermezza del carattere, con ripetuti saggi di non comune arditezza, s’era rivelato nei Collegi a niuno secondo in lusinghiere promesse per l’avvenire.

E ad apparecchiarselo degno della sua grande anima, insofferente di giogo e stomacato dal dispotismo che su larga scala attecchiva a que’ tempi nel Regno Subalpino, fresco d’anni e di precoce virilità, baldo d’arcana non ancora sperimentata audacia, esulò volontario1 in America a respirarvi le vivide aure repubblicane di libertà, a cementarvi apostolato d’amor patrio, ad addestrarvisi nei perigli della marina e delle armi, illustrando così in terra straniera il nome Italiano. E nell’una e nell’altra di quelle due arti di guerra si palesò così ardimentoso e sagace, da sorvolare in breve i primi e secondi gradi della gerarchia militare, fino a raggiungere il ben meritato di Capo-Legione.

E con sì illustre attributo approdava sugli scorci di Giugno al lido natio, a bordo della Speranza, con parte della già sperimentata coorte, seguito dalla sua diletta ed arditissima compagna, la Lagunese Anita: approdava Nazzareno alle sembianze, sfolgoreggiante amor patrio, maturità di senno, prodezza.


  1. L’amico mio, il prode Colonnello Missori, mi rettificava più tardi questo particolare della vita avventurosa del Generale asserendomi che, affigliato qual’era alla setta dei Carbonari, si compromise nel 1833 in modo da esser condannato nel capo. A stento si rifugiò a Marsiglia, dove s’imbarcò per l’America.