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Il conte Schizzi, all1 incontro, ci narra nel pregevole suo opuscolo, che il principe di San Severo, grande della Corte di Napoli, invitasse un giorno i tre grandi maestri a lauto pranzo, h riconciliasse in maniera fra di loro che la stretta amicizia non si disciolse mai, ed anzi convennero tra essi sui bisogni che l’arte reclamava, al loro tempo, e «si proposero di’esigere esattamente e individualmente un medesimo prezzo per ciascuna delle loro Opere. che fu stabilito a seicento ducati». Fino a qual punto quest’ultimo patto che ebbero a stringere i tre insigni maestri soddisfar potesse ai bisogni dell arte, anziché alle mire di guadagno degli artisti. egli è quanto noi non ci faremo qui a discutere. E parimenti non piglieremo ad esaminare se più o meno s apponga- al giusto il sullodato egregio scrittore, ove afferma che Paisiello, veduti allora i contrasti che ferveano in Francia tra i Giudoisti e i Piccinisti. si mettesse, per cosi dire, in mezzo ai due campioni, e dando maggior movimento alle parti d’orchestra, moltiplicando gli accompagnamenti degli stranienti da fiato, senza nuocere punto alla semplicità della composizione, si meritasse il suffragio de’due partiti che lo stile de’suoi lavori avvicinava». Nella biografia di Paisiello del sig. Fétis non troviamo nulla accennato di tutto ciò; ma bensì vediamo riferito come, per il grande favore ottenuto a Roma nelle Due Contesse e nella Disfatta di Dario, gli pervenissero ad un tempo vantaggiose offèrte da Vienna, da Londra e da Pietroburgo. Paisiello accettò quelle della munifica Imperatrice Caterina, e nel luglio del 1777 lasciò Napoli per trasferirsi in Russia. Mutare il magnifico cielo della più bella regione di Italia coi geli e colle nebbie del Settentrionenon riuscì punto grave alnostro compositore, il quale trovar seppe un non indifferente conforto a codesta specie di esilio artistico negli splendidi emolumenti assegnati al fecondo suo genio. Nel corso degli otto anni clfiei dimorò a Pietroburgo molte Opere ebbe a scrivere Paisiello tra le quali alcune di quelle che hanno buona fama, come il Barbiere di Siviglia e i Filosofi immaginarli. Colmo dei favori di Caterina, e forse soddisfatto del pari di questi come della gloria mietuta sulle rive della Neva, riprese Paisiello, il cammino d’Italia, fermandosi da prima a Varsavia, ove. d’ordine del re Poniatowski, sulla bella e affettuosissima poesia di Metastasio compose queirammirabile Oratorio sacro, La Passione, che a giudizio d’ogni persona dotata di squisito gusto vuol essere riputato un capolavoro nel genere sacro drammatico, tant’ò la semplicità dei canti, la grazia delfiespressione, la purezza delle armonie, e sì al vivo vi si dipinge, col prestigio melodico il dolore di un anima divina predestinata alla umana rigenerazione (•). Ma per ripigliare il filo della nostra narrazione riferiremo che, lasciata Varsavia, (I) Il pezzo estratto da questo Oratorio e dato ai nostri associati per il i." numero deYAntologia Classica Musicale non sarà mai abbastanza lodato per la rara soavità colla quale le più affettuose e passionate cantilene si svolgono e si intrecciano a formare una delie più classiche composizioni concertate della vecchia scuola. Questo pezzo fu da noi prodotto coll’intera strumentazione, acciocché gli studiosi possano formarsi una giusta idea del molto effetto rii colorito che il sommo tra gli antichi maestri sapeva ottenere con pochi c sobrii mezzi, insegnando così quanto sia biasimevole quel tanto abuso dell’orchestra che alcuni mediocri compositori d’oggidì chiamano con ridicola ostentazione il ijran genere moderno! si recava Paisiello a Vienna, e in questa gran capitale dettava sotto gli occhi deifi augusto Giuseppe II. dodici sinfonie concertate a grande orchestra, non che 1 Opera huffa il Ite Teodoro, piccantissima caricatura drammatica dovuta ai raro ingegno del Casti, e musicalmente ricca d’un settimino diventato celebre in tutta Europa, quale composizione a quel tempo d’un genere al tulto nuovo, e al dire del sig. Fétis, modello di soavità, di eleganza e di estro comico. Insistiamo tanto più vivamente su questi pregi caratteristici della composizione di Paisiello, vogliam dire la semplicità, la chiarezza del disegno, la leggiadria dei canti, il vezzo e la gajezza nei pezzi comici perchè ne pare che appunto a1 tempi nostri, se lo stile musicale lirico-drammatico si aggrandì nelle forme, e si fece ricco di tali ardite ispirazioni che ai tempi della classica scuola italiana non poteansi neppur sospettare, ella perdette molto dal lato della ingenuità e della purezza spontanea delle melodie, ed è venuta poi molto scadendo nelle doti propriamente caratteristiche della musica bufla. In questa Paisiello. Ira gli antichi, fu sommo; Rossini, per esuberanza di genio inventivo lo superò senza forse tra moderni; ma dopo i portenti del Turco in Italia, dell1 Italiana in Algeri ^ della Cenerentola e del Barbiere rossiniano, libere e felici derivazioni de’ Filosofi immaginari, del Mondo della Luna e del Ite Teodoro. ben può dirsi che la musa dell’Opera buffa si è addormentata sui suoi allori, nè bastarono a scuoterla dal suo sonno i non al tutto poveri saggi de1 due Ricci e l’Elisir d Amore, che tuttavia è il solo spartito comico de1 nostri giorni in cui le migliori tradizioni delle vecchia scuola italiana non sieno pienamente trasandate. (Sarà continuato). B. ESTETICA. ARTICOLO IV. (Vedi i N. -19, 22 e 2o di r/uesta Gazzetta). CARATTERE SELLE VOCI e dki mi: gexeri DI CAUTO DUCI. ADATO E IDEALE. XVIII. Dal carattere degli stranienti (*) passando a quello delle voci noi entriamo in un argomento di cui nulla si può dire di assai preciso e particolarizzato. La voce umana oltre al carattere individuale è destinata a servire all’espressione di ogni affetto, perlocchè ogni voce, oltreché è varia come varii sono i volti, debbe pur anche essere suscettibile di infinite modificazioni. Egli è fuor di dubbio pertanto che la cognizione delle voci di cui deve servirsi lo scrittore musicale conviene acquistarla studiandola negli individui per cui scrive. Nè i soli maestri dovrebbono avere riguardo, ma i poeti drammatici e gli appaltatori i quali non alla sola voce, ma a tutta la persona dovrebbero por mente onde adattarvi i drammi. Perchè se un pittore non (!) Abbiamo ommessodi dare tulto il Capitolo del Trattato di estetica, del sig. Boucberon, ove si parla della natura, dei pregi, e dell’uso particolare ql quale possono essere adoperati nella musica drammatica c pittoresca i varii ’stranienti dell’orchestra, per la ragione che un simile tema è già più che abbastanza sviluppato nella serie d’articoli del sig. Bcrlioz intorno alla stromentazicne che abbiamo preso a pubblicare in questo giornale. | darebbe prova di buon giudizio effigiando ) un Ercole con corpo magro e sciancato, | cosi pure disdirebbe sulla scena una smilza; donnuccia alla parte di Norma,"Vii quella! donna che detta la pace o la guerra ad una nazion feroce; o un’attempalella alla parte di Adalgisa o di Amina. j Ciò che crediamo più utile di osservare: intorno alle voci si è che molte si prestano assai bene al canto declamato; e sono per 10 più le voci piene e molto sonore, mentre alcune ve ne sono che mal riescono nella declamazione, ed assai bene nel canto ideale, le quali per lo più sono senza corpo e delicate benché sensibili perfettamente a considerevole distanza. Di tali voci ne troviamo in ogni chiave, ma specialmente nei soprani adolescenti e nei tenori molto acuti. Gli adolescenti anche contralti, benché dotati di voce robusta, di rado declamano perchè in quell1 età le passioni sono appena nascenti. Il carattere di queste voci, sia per propria natura, sia per 1 idea che se ne ha comunemente, è assai proprio a rappresentare la voce degli angioli, epperciò riescono di buon effetto nella musica di Chiesa purché siano a cori numerosi. Sarebbe ciò nullameno desiderabile che come Io sono in Francia, vi si ammettessero anche in Italia i cori di donna e si risparmiassero tante disposizioni al canto che si rendono ora adatto inutili guastandone l’organo con un esercizio prematuro. Per fi opposto la maggior parte dei tenori non molto sfogati o dei bassi o baritoni ama meglio il cauto declamato che l’ideale di cui ora ci faremo a dimostrare le differenze incominciando dal dare un esempio dell’uno e dell’altro. XIX. Pel canto declamato luminoso è 11 duetto fra Norma e Pollione «In mia mano alfin tu sei» cui puossi aggiungere il finale dell1 atto primo Straniera. u Un grido io sento», e nel Pii ala «Nel furor delle tempeste» e fi aria di Percy nél1 Anna. Balena u Vivi tu, te ne scongiuro». Da questi esempi fàcilmente si scorge, che uno dei principali caratteri del canto declamato è 1 essere tronco siccome la vera declamazione di cui è una copia, talché richiede non di rado che il cantante sagrifichi il bel canto alla verità di espressione. quando cioè la declamazione musicale sia meri vera ed evidente della naturale. Sempre poi richiede un1 esecuzione decisa e schietta, una chiara articolazione della parola, e rifugge da qualsivoglia ornamento. Il canto ideale è più continuato porgendo modo al cantante di spiegare la propria voce, ed obbligandolo in pari tempo a ben modularla; ammette, ed anzi richiede, le grazie della melodia e del sentimento, un periodare perfetto, e una tal quale flessibilità di modi, un1 armonia di frasi che è più facile sentire che descrivere. Il primo segue passo passo la parola e ritrae la sua espressione più dalla rassomiglianza colle inflessioni della voce nel commi parlare, che da ogni altro elemento, e non conviene perciò che alla voce umana, straniera affatto agli stranienti. Il secondo dipinge l’intimo sentimento incluso nel senso totale di un periodo, che talora o da una sola o da nessuna parola è espresso, ma emerge dall1 insieme:, ritraendo la espressione dal carattere del tono e degli intervalli maggiori o minori, eccedenti o diminuiti, e da tutti insieme gli elementi musicali; epperciò si addice egualmente alla voce umana-e a quella degli stranienti.