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GAZZETTA MUSICALE

N. 28

DOMENICA
10 luglio 1842.

DI MILANO
Si pubblica ogni domenica. — Nel corso dell’anno si danno ai signori Associati dodici pezzi di scelta musica classica antica e moderna, destinati a comporre un volume in 4.° di centocinquanta pagine circa, il quale in apposito elegante frontespizio figurato si intitolerà Antologia classica musicale.
La musique, par des inflexions vives, accentuées. et. pour ainsi dire. parlantes, exprimè toutes les passions, peint tous les tableaux, rend tous les objets, soumet la nature entière à ses savantes imitations, et porte ainsi jusqu’au coeur de l’homme des sentiments propres à l’émouvoir.

J. J. Rousseau.

Il prezzo dell’associazione annua alla Gazzetta e all’Antologia classica musicale è di Aust. lire. 24 anticipate. Pel semestre e pel trimestre in proporzione. L’affrancazione postale della sola Gazzetta per l’interno della Monarchia e per l’estero fino a confini è stabilita ad annue lire 4. — La spedizione dei pezzi di musica viene fatta mensilmente e franca di porto ai diversi corrispondenti dello Studio Ricordi, nel modo indicato nel Manifesto — Le associazioni si ricevono in Milano presso l’Ufficio della Gazzetta in casa Ricordi, contrada degli Omenoni N.° 1720; all’estero presso i principali negozianti di musica e presso gli Uffici postali. Le lettere, i gruppi, ec. vorranno essere mandati franchi di porto.


ESTETICA. IMITAZIONE E PITTURA MUSICALE. IMITAZIONE OBBIETTIVA. CPedi i fogli 19, 22, 23, 24 e 30). XXX. Distinguesi l’imitazione o pittura musicale in obbiettiva e subbiettiva secondo che si propone di rappresentare oggetti o sentimenti, cioè secondo che sceglie per tipo d’imitazione i suoni o movimenti di oggetti quali sarebbero il fischio del ventò, il romoreggiare del tuono, il cader della pioggia, il grido di animali, i canti villerecci’ o marziali o nazionali, oppure dipingere gli affetti dell’animo. XXXI. L’imitazione obbiettiva che non ha altro tipo che i suoni esistenti in natura riesce sempre fredda e assai lontana da quel carattere di evidenza che deve rendere riconoscibile un’imitazione per poca attenzione vi si presti, a meno si tratti di canti caratteristici noti. E<di è facile persuadersene se riflettasi che 1 suoni prodotti da cause fisiche o dalla voce di animali, essendo allatto stonati, debbono necessariamente trovarsi travisati, resi ciie siano con suoni intuonati. Osservate il N.° 8 della Creazione del mondo ed il N.° Ti verso il fine delle Quattro Stagioni di Haydn, in cui si descrivono gli animali e se ne imita il grido, e troverete die, senza le parole, non s’intenderebbe l’oggetto imitato; ed inteso non tocca chi solo un poco sia avvezzo alle imitazioni subbiettive. Migliori riescono le imitazioni di movimenti sensibili che al ritmo principalmente spetta di riprodurre, e d’ordinario ancora sono più calde perchè alla maggior parte di esse si desta qualche idea non affatto indifferente alla vita e ai sentimenti umani. Se ricordiamo l’introduzione del coro «Quanta roba, quanti schiavi» nell’Italiana in Algeri, troviamo che quella musica, staccatasi dalla parola e desunta piuttosto dalla scena, rappresenta l’infrangersi delie onde ancora agitate contro la riva petrosa. Il ritmo è quello che ordinariamente dà forma ai canti caratteristici i quali non sono mai privi di affetto. In fatti il ritmo delle canzoni villerecce vi fa correre il pensiero alla semplice e pura gioja della campestre vita, il ritmo marziale scuote e rinvigorisce, e quello delle arie di hallo invita alla danza. A ben riflettervi il ritmo ha sull’imitazione di semplici suoni il vantatfgio di richiamare al pensiero un maggior numero di idee; e dove nel primo genere d’imitazione si stenta a indovinare il soggetto, e non indovinandolo, l’effetto è nullo, nel secondo se non si coglie nel vero s’immagina però fàcilmente alcun che di molto analogo. Cosi nella già citata Creazione al N.° 5 anche senza la parola «DèlF occhio al diletto La vasta pianura» il ritmo pastorale basta a suscitare l’idea di campagne ridenti; e nel N.° 4 se non indovinate che trattasi di mare, di fiume, di ruscello, immaginerete almeno alcun che capace di un simile moto, e uòn potrete non provarne interesse. XXXII. Però non tutte le scene della natura offrono all’arte imitazioni puramente obbiettive, molte ve ne. sono le quali grandemente interessando la nostra vitalità destano in noi affetti anologhi, ai quali riflettendo l’artista, e prendendoli a descrivere, giungerà facilmente ad esprimere e a far indovinare la scena che si propose. Tali sono, ad esempio, una tempesta in cui oltre al fischio del vènto, al romoreggiare del tuono, al haglior de’lampi, al cadere della pioggia dirotta l’artista trova il terrore delle vite minacciate da tanta fùria d’avverse potenze, ‘da tanto disordine d’elementi. Fra le tante che ne furono scritte bellissima riputiamo quella di Haydn nelle Quattro Stagioni trattata a vera fuga, N.l’14 in principio. La subitanea apparizione della luce nella Creazione, il sorgere del sole, il misterioso e taciturno corso della luna sono imitazioni di questo genere, cioè piuttosto subbiettive che obbiettive; e non sarà inutile farne una breve disamina, onde si scorga il fino artifizio dell’autore. In che consiste l’etìetto della luce? In un accordo perfetto maggiore eseguito da tutte le potenze dell’orchestra. Ma come mai questo accordo tanto spesso impiegato produce qui, e non altrove, un simile effetto? Nel contrasto dei precedenti: vediamolo. All’apparizione della luce precede la sinfonia, ed un breve recitativo. La sinfonia è intitolata il Caos, e tale è il disordine delle idee melodiche e della modulazione, che se più a lungo durasse l’uditore sarebbe costretto o ad involarsi, o a reagire con violenza contro la cagione che destò in lui sì penose impressioni. Mai un’idèa di tonica che non sia distrutta appena nata, mai una melodia chiara, un periodo che si compia quietamente, un andamento che proceda con corrispondenza di frasi; motivo per cui l’esimio Àsioli raccomandava agli artisti novelli di non proporsi mai un simile argomento. Dopo quel Caos incomincia un recitativo seguito da poche battute di coro, con una modulazione sempre incerta che non fa che crescere il bisogno di alcun che di dichiarato, di intelligibile; ma l’ansietà è ancora protratta da alcune sospensioni sulla sotto denominante e dominante appena accennate da’violini pizzicati, e dal canto; dopo di che giunge pur finalmente il tanto sospirato accordo di tonica, e vi giunge maggiore ed eseguito dal ripieno di tutta l’orchestra, e vi è confermato colla più sernpli ce cadenza appunto per appagare un tanto desiderio. E qui è da osservare come a ben intendere il partito che si può trarre da un tema conviene salire dalle forme particolari alle generiche, dal concreto all’astratto, tradurlo insomma quando non presentasi suscettivo immediatamente di suoni o di movimenti, tradurlo, dico, in sentimenti analoghi, in potenze di cui l’arte possa farsi rappresentatrice. Mi spiego. Il caos è pressoché inimitabile coi semplici suoni: meno lo sarebbe per sè medesima la luce; ma il caos è compiuto disordine delle cose, epperciò dovrebbe trovarsi privo affatto di sicurezza chi in un simile disordine venisse, ad esistere. Quindi il disordine delle frasi, e la frequenza degli inganni nella modulazione, col modo minore dominante, sono attissimi a far nascere i sentimenti medesimi che desterebbe la cosa reale. E così la luce è qui una consolazione, un punto di sicurezza che dopo tanto travaglio rinfranca gli abbattuti spiriti, onde quella tonica presagita clic tanto più alleviala sofferta pena, quantochè annunziata minore si fa sentire inopinatamente maggiore. Così adoperò il nostro autore nel descrivere il sorgere del sole e il corso della luna, guidato non so se da luce filosofica, o da quello squisito sentire che è la prerogativa del genio, nò l’uno nè l’altro di questi temi somministrano suoni, ma sentimenti: il primo il sentimento di sicurezza e di forza che provasi sempre maggiore a misura che il senso della vista può meglio servirsi a giudicare della natura degli oggettilontani, epperciò quell’armonia ascendente in tono fnaggiore che a poco a poco va determinandosi in un ritmo marziale, caratteristico della forza tanto quanto in plastica può esserlo un Ercole. Quanto poi alla luna Haydn la tradusse per quiete stando colla parola e solo vi aggiunse quel po’ di mistero che sempre regna nella notte benché rischiarata da quell’astro e serena, mistero che si esprime con quei ritardi armo