Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1842.djvu/160

Da Wikisource.

- 150 -

cadenza del passo di carattere della sua aria del second’atto, ove il clarinetto, senza che l’uditore comune se ne accorga, conduce a fine una rapida scala discendente che la voce della cantante abbandonò poco men che a mezza via. In oltre vorremmo che la signora De Giulii, nei pochi passi di affetto ne’ quali manifesta il suo segreto amore per Ismaele, si abbandonasse meno a un certo quale manierismo sdolcinato, che non è del miglior genere:, e in generale poi le raccomandiamo di non allargar di troppo il tempo così nei recitativi come nei cantabili, e massimamente nell Adagio dell’aria del secondo atto, da lei eseguito con felice portamento di voce e con sobrietà di ornati, ma non con abbastanza colorito caratteristico, nè con relativa verità di espressione. Ci spieghiamo meglio. È un errore il credere che vi sia una regola generale la quale determini essere uno solo e invariabile il modo di modular bene gli Adagio cantabili. Ciò potrà dirsi benissimo per quel che riguarda gli artilizii materiali ed elementari del canto, non già per quanto si riferisce al carattere e all’espressione. Quanti largo cantabili, quanti adagio affettuoso, sebbene per il contesto melodico dal più al meno si assomiglino (che noi crediamo ben difficile una gran varietà in questa specie di canti) ponno e devono essere molto diversamente caratterizzati dall’ingegno dell’artista se costei bada alla tempra e alla natura del personaggio ch’ella finge! La Pasta, la Malibran ed altre pochissime attrici ben le intendevano queste differenze, e l’esimia lombarda era poi fra le altre maestra in codeste fine distinzioni, sicché udivi in qual diverso modo con frasi cantabili di non molto dissimile tessuto di note ella esprimeva ora l’ingenuo amore di Amina, ora i casti affetti di Polena, ora le incomposte fiamme di Norma! Abigaille, donna divorata dall’ambizione, vendicativa, dispettosamente gelosa d?un bene perduto, anche ne’momenti di tenera espansione, come è il caso della sua aria del secondo atto, debbe lasciare intravedere la sua irosa natura, e nella mestizia de’suoi lamenti ha da spiccare una tal quale tinta di rancore e di orgoglio offeso che vorrebbe sfogarsi nel pianto ma finisce per prorompere con un’invettiva. Questo felice passaggio, ben trovato dal poeta, fu sufficientemente conservato dal compositore e marcato nel contrapposto delle lente modulazioni del primo tempo dell’aria suddetta, non al tutto peregrine.colle variate e incalzanti frasi della stretta CO. O ci inganniamo a gran partito o ne pare che la signora De Giulii non abbia voluto farsi abbastanza ragione di codeste che a lei forse parranno sofisticherie, e a noi sembrano sottili ma giuste esigenze della critica. Ormai l’educazione artistica de’ nostri signori cantanti è di tanto progredita che il non esigere da essi la scrupolosa osservanza di tutte le menome intenzioni drammatiche del poeta e del compositore, è più che altro, far torto al loro ingegno e al loro spirito. (I) La nostra imparzialità ci ingiunge di qui accennare per digressione che la signora Strcpponi aveva molto bene compreso il carattere fiero e amaramente passionato di Abigaille. Ella per altro, indisposta di voce, non poteva dare il necessario risalto alle modulazioni più spiccate, nè aggiugnere vigore alle accentazioni energiche della musica, massime rie’ passi in cui questa richiede slancio e sicurezza di voci acute. Però eseguiva con sufficiènte energia il passo di carattere dell’aria del secondo atto c non trascurava di dare l’opportuna tinta di ironico orgoglio ai due versi di molto significato:» Regie figlie qui verranno - L’umil schiava a supplicar. In proposito della signora De Giulii ci facciamo lecita un’altra osservazione. Forse ci inganneremo, ma ne sembra che nei suoi modi di azione ella si attenga un’po’troppo alla vecchia scuola di mimica, sì riprovevole, perchè basata sul falso e sul convenzionale. Non possiamo a meno di lodarla del molto studio ch’ella pone a conservar sempre la dignità teatrale del contegno: però desidereremmo ch’ella non si addimostrasse troppo, ligia all’antico precetto che raccomandava di accompagnare ogni concetto della poesia con un geslo diverso anche a rischio di ricorrere, dopo un certo giro, al gesto medesimo già poco prima usato, e così di seguito. In oltre vorremmo che ella non ripetesse troppo spesso certe pose che sanno troppo di accademico, e danno quindi un fare un pochino antiquato alla sua azione scenica. La signora De Giulii è artista destinata a progredire molto innanzi, così nel canto come nella scena, ed è per questo che con lei ci facemmo lecite delle minute osservazioni che forse avremmo credute superflue con altre. Se mai le nostre parole avranno saputo persuaderla di qualche piccola verità, crederemo di aver raccolto il miglior frutto che possa sperarsi da un articolo da giornale. Nel foglio venturo osserveremo altre cose diverse intorno al modo col quale, presentemente, è posta in iscena questa Opera destinata a glorioso avvenire, ed aggiugneremo alcun chè intorno alle parti secondarie ed ai cori. G. B. ESTETICA MUSICALE. uniTAzioxE siiinn j in i. (Tedi i fogli 19, 22, 23, 24, XXXIV. Molto più vasto è il campo dell imitazione subbiettiva la quale, come già dicemmo, ha per tipo gli affetti dell’uman cuore. Qui non trattasi di imitare altri suoni che quelli dell’accento umano nel canto declamato, nè questi pure nel canto ideale, ma sì di formare un tutto che corrisponda ad una data maniera di essere; un tutto che desti l’idea di una data commozione d’animo qualunque ella sia, al che vedemmo coll’analisi sommamente acconcia l’arte nostra. Egli è in questo genere d’imitazione, il più nobile e degno dell’artista, che l’orchestra. o quei mezzi che ne fanno le veci, debbe assumere di rappresentare tutto che è necessario all’espressione dell’affetto, e che la parola e l’accento della melodia non possono dichiarare. Egli è qui che l’artista ha duopo di ben conoscere il cuore umano, e di quella facilità di trasportare sè stesso in tutte quelle situazioni che debbe colf arte sua dipingere, facoltà che chiamasi sensibilità, e senza la quale nessuno può essere vero artista. E qui finalmente che richiedesi una perfetta cognizione dei rapporti fra l’arte e la natura congiunta a gusto squisito per iseegliere i mezzi più proprj, fra quanti ve n’ha, ad esprimere con verità il proprio soggetto. Dopo quanto abbiamo discorso intorno agli affetti non meno che sulla relazione e corrispondenza fra questi e gli elementi dell’arte crediamo inutile aggiungere precetti che non farebbero che assoggettare l’immaginazione a forme, direm quasi, meccaniche sempre nocive. Ci limiteremo dunque a scegliere alcuni esempi sui quali discorrendo, e applicando i principii già esposti ne risulterà una norma generale di raziocinio per l’artista, più utile di qualsivoglia precetto. Già abbiamo citato il Rondò finale della Straniera di Bellini: ad un esempio sì hello di espressione musicale ne piace aggiungere il Rondò pure finale della Caterina dì Guisa, in cui la situazione drammatica è quasi la stessa perciò che riguarda l’affetto, e comprova quanto abbiamo detto parlando del carattere dei toni. In questo esempio ci limiteremo ad osservare come la melodia senza trilli e senza passi di bravura riesca in tali espressioni più smaniosa epperciò più vera. Caputeti e Montecchi. - Duetto Romeo e Tebaldo atto if," Bellini. XXXV. Due guerrieri rivali, uno de’quali sorprende 1 altro mentre furtivo s’aggira nelle vietale soglie, debbono necessariamente accendersi di sdegno. Tebaldo per l’ardire di Romeo, questi per l’importuno arrivo e per l’alterezza di quello. Ma prima di por mano ai ferri raro è che non si tenti opprimere il nemico colla potenza della parola. In tali casi però esseri come questi, educati ad alti sensi, raffrenar sanno l’interna ira, e ambiscono mostrarsi l’un del1 altro più grande e magnanimo, e tale è il principio di questa scena. La melodia larga, grandiosa, e slanciata a grandi’ intervalli consuona pienamente colla parola; ma questa non poteva dire di più, ed ecco che 1 orchestra con quel fremito interrotto ed ineguale vi dipinge il represso furore di entrambi e presagisce inevitabile un rabbioso duello. (1). Già i brandi sono snudati; già balenano diretti al seno l’uno dell’altro... Un suono s’ode di funebre canto... I combattenti ristanno. Il nome dell’adorata Giulietta risuona in mezzo a quei lamenti... Cadono l’armi di mano ai guerrieri rivali. Orbati di lei anzi che darla, vorrebbero ricevere la morte. Quanta disperazione, quanto impeto smanioso in quella cappelletta (2)i Come a proposito l’autore della musica scelse una alternazione di parti anziché una di quelle melodie che annunciate dall’uno vengono al solito dall’altro attore per intiero ripetute alla lettera! Come bene l’orchestra con quell’arpeggio dei bassi e coi contrattempi superiori esprime l’interna agitazione, il palpito sommamente accelerato del cuore! Potrebbe forse sembrare debole l’espressione della sorpresa che l’annunzio della morte di Giulietta produr debbe sui due amanti. Ma si osservi che se il maestro avesse in qualche modo interrotto il periodo del canto funereo per darvi maggior colorito, non avrebbe fatto meglio; poiché ove l’affetto è come qui sì irrevocabilmente necessario che non si può dubitarne, un moto, un gesto bastano a dimostrarlo, e ogni più è dannosamente soverchio. In quest’Opera quasi tutte le cantanti cui spetta la parte di Romeo preferiscono il (1) E qui c altrove noi facciamo l’analisi delle passioni tali quali le intese il poeta, senza entrare nel inerito del dramma la cui lode o censura a noi non s’aspetta. (2) Ci facciamo lecito di dire cappelletta invece di cabballetta, benché questo vocabolo sia più del primo usato. A ciò ne induce l’opinione che il secondo derivi per corruzione dal dialetto napoletano, essendo noto che in Napoli come in Roma il volgo dice gabella per cappella e gabbala per cabala e gabballetta per cabaletta o cappellctta. D’altronde a tutti è noto che noi diciamo ancora cappelletta a quel tempo binario per lo più allegro, con cui da più di un secolo si usò terminare i pezzi musicali di qualche estensione. esemj