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Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1842.djvu/74

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trimenti e più minutamente di chi non abbia fatto studio sul disegno, come per l’esercizio della musica grande sviluppo e squisitezza ne avviene all’udito, che tra i ministri dell’anima e dell’intelletto, esso il primo fu sempre stimato dai più profondi filosofi sì antichi che moderni.

Egli è in questo punto di vista che nelle attuali condizioni sociali europee, la musica potrebbe assumere un carattere assoluto di utilità generale, e riprendere una parte dei suoi primitivi diritti, di cui ella godè nel più alto grado nell’antica Grecia.

Luigi Picchianti.




MUSICA SACRA.

Lo STABAT di Rossini dato alla Scala le sere del 4 e del 6 Aprile


Due esecuzioni di codesto Stabat hanno avuto luogo nel nostro maggior Teatro: la prima il 4, e la seconda il 6 Aprile. Esecutori delle primarie parti furono le signore Micciarelli - Sbriscia ed Abbadia, ed i signori Fedor ed Auconi. A maggior lustro e decoro di siffatta solenne circostanza fu savia intenzione quella di aumentare le masse de’ cori e dell’orchestra. Gentilmente tutti o pressoché tutti i nostri professori e dilettanti accettarono di buona voglia l’invito, e l’orchestra contava con ciò centoventi parti, e più di cento pure ne contavano i cori.

Toccheremo brevemente della seconda sola di queste due esecuzioni, come di quella, che per migliore assieme ed accuratezza di coloriti si meritò applausi più caldi e più sinceri dal nostro pubblico. L'introduzione venne eseguita con diligente accordo nel suo complesso, e il movimento del tempo preso più lento che non alla prima sera produsse doppio effetto. I piani e i forti ne furono a sufficienza osservati specialmente dall’orchestra, e fu bene inteso quel lieve incalzar del movimento all’ultimo forte, che prepara con tanta imponenza la chiusa di questo magnifico pezzo. Avremmo amato però che le ultime terzine legate dei soprani, colle quali va decrescendo a perdersi pianissimo questa grande cadenza, ed a cui rispondono nella misura susseguente quelle dei tenori, fossero state eseguite assai più legate e più sottovoce. L’aria che segue, abbenché tutt’altro che propria ai mezzi delicati del signor Fedor, fu detta pur con garbo: ma l’istrumentale oltremodo caricato ne faceva perdere notevol parte dell’esecuzione cantabile. Il Duetto de’ due soprani fu bene accentato ne’ primi due soli sì dalla signora Micciarelli, come dalla signora Abbadia. Ma nella seconda parte l’accordo mancò, in ispecial modo in quella scaletta cromatica discendente per terza, la quale oltremodo difficile ad eseguirsi, anche ben eseguita deve, ne sembra, riescire alla massa degli uditori dura ed aspra. Anche gli ultimi trilli della cadenza siti sulla vocale u della parola cum producono cattivo effetto. Nè qui incolpar vogliamo per certo le due zelanti esecutrici. Il signor Anconi interpretò pure diligentemente l'Aria che segue. Codesto artista possiede una bella ed estesa voce di basso; le sue note profonde si, la, sol, fa, anziché essere cupe o cavernose, come quasi sempre riscontransi nei bassi giusti, sono dolcissime, ma ad un tempo sensibilissime. Nè con questo disaccordano le superiori, ed anzi il carattere della sua voce vorrebbesi giudicare pressoché di baritono; se non che egli dimostra di non poter ascendere che a stento fino al mi b, in guisa che fa forza anzi, come comunemente dicesi, puntargli molte note in quest’aria, il che pregiudicò grandemente l’effetto.

Il pezzo d’assieme a voci sole Eja mater, fece viva impressione, e l’avrebbe ottenuta doppia se più accuratamente si fossero osservati i valori delle note ed ogni inflessione e chiaroscuro segnato dal compositore. E ciò che nota assoluta mancanza di sufficienti studi alle prove si è la singolare bonomia colla quale tutto il coro, alla seconda transizione dell’Ut sibi complaceam in la bemolle, non si faceva nessun carico di interpretarla come prima in la naturale. Buon per noi che nessuno de’ signori coristi avvisò di procedere dritto sulla giusta strada; epperò il pubblico nulla ebbe a soffrire da codesto grosso sbaglio, che avvertito dagli intelligenti li fece forse sorridere. Anche le crome spezzate delle ultime misure sottoposte alle sincopi de’ soprani voleansi udire molto più secche, e totalmente a mezza voce.

Il quartetto seguente non sembra dal compositore ideato a pretendere effetto piccante: però l’esecuzione ne fu netta e precisa, ad eccezione di quelle note secche del soprano secondo e del basso, le quali si prolungavano per più che mezza misura, mentre il maestro, coll’averle marcate soltanto con brevissime crome, pare intendesse non volerle in altro modo eseguite.

Anche la cavatina che succede non ne pare componimento che pretenda a grande effetto, e per verità ben poco ne ottenne, abbenché lodevolmente interpretata e colorita dalla signora Abbadia.

Forseché i suddetti pezzi furono svolti dal maestro con volontaria parsimonia d’effetto allo scopo di produrre un maggior scuotimento coll’aria famosa del soprano.

Quantunque a noi sia sembrato che la prima parte potesse interpretarsi con maggior fuoco e meno vezzosamente dalla signora Micciarelli, pure ella si merita molti elogj per l’ultimo slancio di quel do acutissimo, che poi si rimette possente sul sol, e che si stacca vivo ed ardito in mezzo a tutta la massa del coro e dell’orchestra.

Dalla diversità di tinta, a nostro parere non conveniente, che la signora Micciarelli dà all’esecuzione di quest’aria, siamo indotti a credere che ella pure siasi proposta una tal quale economia di effetti. Ma chi giudichi dall’indole di questo pezzo, deve argomentare che esso abbia ad essere eseguito per intero con caldo slancio, e a pieno impeto di voce, e diremmo quasi, con enfasi di dolore e di affetto.

Il difficilissimo quartetto a voci sole fu nella seconda sera assai bene cantato, ed il pubblico che alla prima esecuzione non aveva potuto menomamente gustarlo, ne volle quest’altra volta a gran clamore la replica. Facciamo osservare di nuovo che il quartetto è oltremodo difficile, e che molta lode è dovuta all’esecuzione quasi perfetta de’ quattro artisti.

La Fuga finale lasciò al tutto freddo l’uditorio, del che non è a darsi colpa agli esecutori. Però, non dobbiam tacere che l'ultima cadenza dove i soprani si spiccano con quelle magnifiche note acute, ci ha consolati in qualche parte dell’aridezza del primo concetto.

Ora si aggiunga: se anche noi consentiamo di lodare un sufficiente accordo nei cori, un buono ed energico assieme nell’orchestra, e più ancora lo zelo e l’accurata esecuzione de’ sullodati quattro artisti, non possiamo però acconsentire che le parti ad essi affidate, lo fossero opportunamente ed in modo da far emergere tutte le bellezze di questo decantato lavoro. Ben maturata, opportuna e insomma, perfetta esecuzione si richiede, perchè il pubblico possa apprezzare le ispirazioni di un maestro, ma questo, a nostro giudizio, osservate le cose nel tutt’insieme e cogli scrupoli di una critica esigente, non fu il caso dello Stabat di Rossini dato alla Scala, massime la prima sera. Dal che si deve inferire che del vero merito di questa composizione sì decantata noi non potemmo ancora formarci piena e giusta idea; epperò, non abbiamo saputo partecipare se non limitatamente all’universale entusiasmo. Non per tema che avesse ad essere menomamente pregiudicata la fama di Rossini, chè Rossini più non ha bisogno del giudizio d’un pubblico, ma per semplice rispetto al suo nome, pare a noi che assai ma assai più doveansi ponderare il momento ed i modi opportuni per esporre sul primo teatro del mondo questo capolavoro.

A. M.





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Contrada degli Omenoni N. 1720.