due clarii
gica. Seb.
gidì cIl.gì
successo ’
è che la
alquanto
che esigi
aggirano
può asp«} sonori,
f genere i
1 secondi
n cliestre
i pregi principali e additato i minimi, hanno accusato
il lavoro di poca originalità così in generale e alla inconsiderata
sbracciandosi pure a predicare che molte reminiscenze
vi si incontrano. Quando un critico musicale
entra a parlare ex-professo d’alcuna composizione, non
se ne può cavare con lode se non ragionandone con artistico
fondamento, che le sentenze così generali e scorrette,
quantunque sieno atte a trarre d’impaccio i critici
imperiti e ad abbagliare il volgo degli indotti, sono però
biasimate da chi per arte, o per istinto raffinato abbia
ottimo senso del bello musicale.
Le reminiscenze pertanto degnereranno in plagio quando
si succedano le uno alle altre continuatamente, e non abbiano
fra loro un conveniente legame. Ma ove esse s’incontrino
più di rado, indefinite ed incerte, è soverchio
rigore il farsene severo caso. La composizione deve essere
riguardata nel suo complesso, e nel suo carattere musicale
più che nei suoi membri, i quali, comechè non tutti
nuovi ed inspirati, possono nondimeno risolversi in un tutto
di bella originalità. Eppoi,si osservi che non di rado quelle
reminiscenze che si riscontrano nella prima impressione
di una nuova musica svaniscono quando fìa dato poterne
ascoltare la ripetizione con comodo di meglio ponderarla
e gustarla. Molti giornalisti di teatro, assistendo ad una
replica, si pentono di quanto hanno esagerato riferendo il
successo della prima rappresentazione: e molti di costoro
che non hanno avuto la virtù di disdirsi, si trovano pei
buoni successi ulteriori dell’Opera biasimata avere acquistato
nome di imperiti, in questo rigore di censure peccano
sovente quegli ascoltatori che sono amici dell’arte
più per dovere di buon cittadino che per istinto e per
cuore. Essi non possono mai trovare nella musica alcuna
intima impressione che li costringa ad essere più clementi
ne’loro giudizi; laddove l’amatore di sentimento
giudica, per così dire, colle sensazioni sul labbro, e coll’intimo
convincimento del cuore: egli, se prorompe con
entusiasmo di lodi, se esalta con estasi di alletto, è il
genio dell’arte che si esprime nelle sue esclamazioni, il
suo giudizio sarà sempre prezioso.
Stabilito così quale nella musicale composizione sia la
imitazione lodevole e come essa possa tralignare in abuso,
e quale debba aversi per plagio, resta solo a desiderarsi
che i compositori s’ingegnino di temperare l’inspirazione
colla pratica, il sentimento col magistero, il genio
coll’arte, e il pubblico, giudicando con maggior considerazione,
si mostri più indulgente e cortese.
C. Meliini.
(1) Il signor Mellini vorrà tenermi per iscusato, se
non posso assentire alla sua opinione, non trovando
nel pezzo di Bellini in quistione nemmeno que’ pregi
che anche dal sullodalo signore si vogliono indispensabili
acciocché il plagio possa riuscir lodevole. Dappoiché
non mi sembra altrimenti vero che V innesto
del primo sentimento della suonata di Beethoven nel
coro della Norma sia tanto felice, né che la risposta
sia interamente calzante alla proposta da sembrarne,
com’egli asserisce, un sol pensiero, una sola ispirazione.
Nè io adesso intendo di voler tacciare di slegato il
componimento del maestro siciliano; ma per quel che
è della fusione, unità, e incomparabile sviluppo del
pensiero non posso non accordare ampiamente la preminenza
alla composizione del sommo Alemanno. Questi
si servì d’un solo unico pensiero, V altro impastò
questo istesso pensiero con altri tre o quattro. Lascio
ad altri a giudicare dove rinvengasi perciò il maggior
sviluppo e la maggiore unità. £, duoimi per ultimo
confessare, che non mi fu dato di riscontrare nel coro
suaccennato, quella ripresa, che pure il signor Meliini
asserisce esistere, del primo sentimento che risorge spontaneamente
sotto variato aspetto; nè meno ancora le
note dei bassi d’orchestra che alla fine del pezzo marcano,
secondo lui, quasi in segreto il sentimento dominante
preso da Beethoven, che è come il marchio di
unità di tutta la composizione. Conviene dire che il
sig. Mellini ritrovi in quel variato aspetto e in quei
suoni segreti dei bassi, delle cose strane e palesi che
a me non fu dato nemmeno d’intravedere.
A me pare, se non m’inganno, che quel variato
aspetto, e quel segreto suono del motivo, sieno davvero
tanto variati e tanto segreti da non potersene affatto riscontrare
nemmeno la traccia della primitiva idea.
A. M.
gio che si fa ai compositori, e da doversi avere in conto di
lina cjilica esagerata e pedestre, la quale non può che
portar danno all’incremento dell’arte.
Noi pertanto ammetteremo c loderemo nella musica
una circospetta c ingegnosa imitazione, e condanneremo,
siccome merita, il plagio, che altro non è che uri ladroneccio
non meno artisticamente riprensibile di quello che
moralmente ( riferito all’altrui proprietà ) sia punibile
dalla giustizia. Distingueremo l’imitazione dal plagio, e
fisseremo fin dove possa essere spinta la prima senza
degenerare nel secondo.
11 plagio nella musicale composizione può commettersi
in due maniere: 4.° togliendo di peso uà un altro esemplare
un’intera composizione, o un gran tratto della medesima;
2.° togliendone anche un piccolo tratto, e non
saperlo rannodare con arte alle proprie idee precedenti
0 susseguenti. Ove poi altri togliesse da un’altrui composizione
un breve tratto, e di quello si servisse per idea
cardinale della sua, innestandolo con arte a’ proprii pensieri,
e facendone un tutto di assoluta bontà, in questo
caso, non che essere accusato di plagiario, egli dovrebbe
anzi essere lodato e proposto ad esempio ai un ottimo
genere di imitazione, il quale ollie forse non minori difficoltà
di quelle che si incontrano da chi svolge e risolve
1 proprii pensieri; perchè nel primo caso la dottrina vincolata
alle idee altrui è meno libera che non allorachè
si occupa intorno ad idee proprie. E qui ne cade in acconcio
di poter manifestare con dispiacere all’autore
dell’articoletto sulla suonata di Beethoven in do diesis
minore, inserito al N. 1U di questa Gazzetta musicale,
di non essere della sua opinione. Egli, riferendo
che Bellini si servì del primo sentimento di questa suonata
per tessere il suo coro in fa del secondo atto della
Norma, trascorre ad accusare Bellini di plagio non lieve.
Forse questa parola non suona all’autore dell’articolo in
senso tanto odioso quanto gliene attribuisce la scienza dei
vocaboli italiani, e la ragion de’ sinonimi; ma siccome la
lancia è pur corsa, noi ci sentiamo in dovere di provare
come Bellini servendosi di un pensiero di Beethowen,
non che commettere un plagio, abbia anzi dato saggio
di non agevole imitazione.
Vero c bensì che il coro della Norma s’imprende col
primo sentimento della suonata di Beethoven sino alle
prime parole delle parti: Non partì: finora è al campo;
ma alle parole che seguono: Tutto il dice, i feri carmi,
Il fragore, il suon dell’armi, il sentimento non è più di
Beethoven, però l’innesto è così felice, e la risposta del
soggetto è così conveniente e calzante alla proposta, che
pare un sol pensiero, una sola inspirazione. Alle parole:
Il suon dell’armi, delle insegne il ventilar, le parti si
concertano con un volo peregrino e cadono in un motivo
in terze della maggior gravità, conveniente al carattere
del pezzo: tanto che da ultimo il primo sentimento quasi
spontaneamente si sente risorgere sotto variato aspetto,
e con un alternar delle due parti del coro clic dopo un
movimento di scala si fermano in una nota tenuta l’una
aspettando l’altra con bello effetto, si compie e suggella
il pezzo, che va perdendosi e mancando mentre che i
bassi d’orchestra pur marcano quasi in segreto il sentimento
dominante preso da Beethoven, che è come il
marchio di unità di tutta la composizione. L’arpeggiato
che accompagna tutto il pezzo segue nel coro di Bellini
un corso di modulazioni al tutto diverse da quelle della
suonata di Beethowen, e va secondando tutti i diversi
pensieri originali che si succedono gli uni agii altri tanto
naturalmente e senza alcuno sforzo che paiono una sola
idea, un sol concepimento. Imitazioni di questa sorte non
pure sono da approvarsi, ma da riconoscerne capaci solamente
i primi ingegni musicali, perchè a trattarle a
questo modo poco minore inspirazione e magistero è richiesto
di quello che a concepirle e condurle interamente
del proprio (1).
E ciò tanto è vero, che imitazioni di questo genere non
ci è facile di riscontrare fuorché ne’ primi luminari della
musica. Rossini e Donizetti ne hanno prestato buoni
esempli, e il citato di Bellini può essere proposto a modello.
Meno felice, non però alfatto riprovevole, è in questa
parte Mercadante.
L* imitazione adunque ove troppo sia trita e riprodotta
può tralignare in abuso; ma essa poi, come sopra abbiamo
avvertito, cadrà veramente in plagio quando ciò
che si prende d’altrui sia di grave entità o non bene assestato
c connesso alle proprie idee. Infiniti esempi di questa
maniera di plagio si potrebbero recare da chi volesse le Opere
recenti esaminare ed in ispecie quelle de’ compositori
principianti; ma in generale ove sia sconnessione di pensieri,
difetto di unità, sconvenienza di carattere, ivi è plagio; non essendo difficile che un artista compositore anche
mediocre possa discretamente ordinare le sue buone
o cattive idee, ed essendo d’altronde al tutto impossibile
ch’egli giunga a giovarsi dottamente delle altrui.
Quanto poi alle reminescenze delle quali si fa carico
a’ maestri, più dovremmo andare guardinghi nel condannarle.
Questo è il campo ove la critica del volgo degli
ascoltanti più suole spaziare con ingiuste sentenze. Niente
è più facile di quello che un indotto delle cose musicali
si creda poter con fondamento accusare di reminiscenze
una composizione, anzi quanto meno egli avrà l’istinto
della musica, tanto più sopraffatto dal materialismo delle
semplici forme che a lui poco possono suonar variate
per cagione della sua insufficienza eziandio passiva
di ascoltazione, sarà tratto a ravvisarle sovente, o
le verrà additando altrui quasi come una scoperta da
lui fatta. Che i poveri maestri debbano essere ancora
bersaglio degli effetti della musicale ignoranza certo è
cosa dura a sopportare. Ma chi potrebbe infrenare le lingue
di coloro che hanno la facoltà di articolarle? o chi
le potrebbe costringere a stare ognuna dentro i termini
ove per istudio o per buon senso hanno diritto di potere
ragionar con successo? Un recente fatto musicale ne porgerebbe
materia di qui trattenerci alquanto discutendo
quanto molti giornali, riferendo il trionfo della nuova Opera
del maestro Verdi data testé al teatro alla Scala, hanno
osservato intorno a quella musica per molti conti lodeYolissiina.
Essi, per nostro credere, hanno dissimulato
TEORICHE ME SIC ALI.»1X1/ ISTItSIUI’ TAZIO t:.
aut. in (Continuazione ("*) ).
Quello infra lutti gli strumenti d’orchestra, le cui eccellenti particolarità di
effetto sono state più lungo tempo mal conosciute
è la viola. Essa è agile quanto il
violino, il suono delle sue basse corde ha
un metallo singolare, le sue note acute si
distinguono pel loro accento melanconico
e passionato, e il suo timbro, profondamente
gemebondo, differisce grandemente
da quello degli altri stromenti tutti da arco.
Ella è stata per un pezzo dimenticata, od
impiegata al vile ed inutile officio di andare
in ottava colla parte de’ bassi. Molte
sono le cause del poco partito tratto da
questo istromento. Primamente la più parte
de’ maestri del passato secolo, concertando
di rado quattro parti reali, non sapevano
per conseguente che cosa farsi della viola; e
quando eglino non avevano modo di assegnarle
qualche nota di complemento negli
accordi, se ne cavavano scrivendo quel
famoso col basso, e il più delle volte tanto
alla inconsiderata, che ne risultava un raddoppio
all’ottava dei bassi sconveniente
coll’armonia, o colla melodia, e spesso inconciliabile
colf una e colf altra. Era altresì
allora per mala sorte impossibile lo
scrivere per le viole dei passi salienti che
esigessero qualche magistero d’esecuzione.
I suonatori di viola erano per lo più la
feccia e il rifiuto de’violinisti. Quando un
musicante si vedea insufficiente a tenere
con successo un posto di violino, era messo
alla viola: onde ne venia che il violinista
non sapeva suonare nè il violino nè la
viola. Dobbiamo ancora confessare che al
nostro tempo questo pregiudizio sulla viola
non è per anco interamente distrutto, e
che tuttavia nelle migliori orchestre v’ha
de’ suonatori di viola che niente più valgono
di quelli de’ quali è detto di sopra.
Ma di giorno in giorno più si sente lo
sconcio di questa tolleranza a loro riguardo,
e a poco a poco la viola come gli altri
stromenti sarà affidata solamente aìl abili
esecutori. L effetto di questo suono attrae
di tal sorte l’attenzione, che in que’ rarissimi
tratti in che gli antichi compositori
lasciarono la viola campeggiare alla scoperta, essa non mancò mai di produrre
ottimo effetto. Si sa qual profonda impressione
faccia questo suono in quel pezzo
dell Ifigenia in Tauride, quando Oreste
trafelato, vinto dalla fatica, anelante, divorato
dai rimorsi, si viene acquetando ed
assopendo, e dice: «Nel mio cor torna la
calma! 55 mentre l’orchestra con un movimento
agitato esprime singulti, e pianti
convulsivi affidati specialmente al gemebondo
strisciato in ostinazione delle viole.
Quantunque in questa ineffabile inspirazione
nota 11011 v abbia della voce o degli
stromenti che sublime non sia, egli bisogna
11011 pertanto convenire che il fascino
ch’essa esercita sugli uditori, che il sentimento
d orrore onde molli occhi si spalancano
pieni di lagrime, sono effetti prodotti
dalle parte delle viole. Nella immortale
sinfonia della Ifigenia in Aulide,
Gluck ha ragionevolmente impiegato le
viole a tenere solo la parte bassa dell’armonia, non per averne qui l’effetto che
resulla dalla special qualità del loro timbro,
ma per accompagnare il più dolcemente
che sia possibile il canto de’ primi
violini, e per rendere più terribile l’attacco
de’ violoncelli e contrabbassi che ripigliano
il forte dopo un gran numero di
pause. Sacchini altresì ha affidata la parte
del basso alle sole viole nell’aria d’Edipo:
«La tua reggia è il mio rifugio r> senza
proporsi per iscopo di preparare un’esplosione.
All incontro questa istromentazione
dà qui alla frase di canto che accompagna
una freschezza e una calma deliziosa. 1 canti
delle viole nelle corde acute fanno meraviglie
nelle scene di carattere antico e religioso.
Sponlini, il primo, loro affidò la
melodia in qualche tratto delle mirabili
preghiere della Vestale. Méliul, sedotto dalla
perfetta convenienza del suono delle viole al
carattere elevato della poesia ossianesca, volle
servirsene costantemente escludendo i violini
dalla sua partitura delVUthal. Ne risultò,
(I) Vedi i num. 5, S e 10 di questa Gazzetta Musicale.