Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1843.djvu/150

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- m»g| eserciti le sue qualità intellettuali, e via discorrendo. Non è egli vero che voi, sebI*? ben non pittore, nè erudito in pittura, nè /jUj poeta, nè esercitato 111 poesia, sapete distinguere un buon quadro da un cattivo, un bel sonetto da un brutto? Se è così io vi assicuro che voi quantunque nè musico, nè dilettante, per 1 intelligenza vostra potete anche seder giudice di musica in qualunque teatro. Mi direte che il vostro orecchio non è molto fino, che non è in grado di apprezzare tutte le armoniche gradazioni. Lo so, mio caro, che il vostro udito non eguaglia la delicatezza del vostro sentire, e so pure che molti per essere d’orecchio fino e sensibile si stimano i migliori giudici in musica: ma io credo che questa finezza e sensibilità, opportunissima in vero, non costituisca tutta 1 intelligenza musicale. L’intelligenza, primo requisito del giudizio, debbe risiedere oltre il timpano acustico, oltre i confini della organizzazione1, l’orecchio non è che l’usciere del giudice. Se la miglior disposizione degli organi sensorii dovesse decidere in questa ed in altre materie, penso che molti sciocchi sarebbero intelligentissimi, e gli occhi lincei sarebbero i migliori giudici in pittura, siccome erano una volta in letteratura gli uomini di netto naso, emunclae naris. — Altri poi credonsi d’aver la prerogativa di giudicare perchè sono infarinati di musica, ne conoscono il vocabolario, si dilettano di canto, o di suono, di cantori, o suonatori. Benissimo. Siedano pure costoro tra giudici, ma non a preferenza d’altri non infarinati, non dilettanti. Anche in quest’arte, mio caro, evvi la mezza scienza accompagnata dalla presunzione^ anche la musica ha i suoi saputelli, i quali portano ai tribunali della platea quel fino discernimento che mostrano ne’ privati concerti, allorché o cantando, o suonando, eseguiscono un pezzo di musica, in natura, o ridotto! Torno a dire che richiedesi intelligenza, non scienza, tanto meno la saccenteria } ripeto che per pronunziare un giudizio esigesi criterio e buon senso, non dottrina ed erudizione. Che vale il cicalar tanto di musica in pubblico ed in privalo, pizzicar corde, gonfiar flauti, strimpellar chitarre, gorgheggiare da mattino a sera se non ce ne intendiamo? Poco son conosciute, diceva MehuI, le cause produttrici de’grandi effetti drammatici*, e perciò, comechè molti ciarlino di melodrammi, pochi ne sanno con esattezza ragionare. La grande dimestichezza, cred’10, che abbiam contratta colla musica, forse è quella che ci dispensa dall’intelligenza. Evvi di più un pregiudizio in questa parte, ed è che si possa dare una musica dotta, ed un’altra popolare, cosicché ove il comune intendimento a quella non giunga, possa almeno a questa arrivare. Così p. e. per chi non intende Dante, od Alfieri, havvi Metastasio, o Gol! doni} per chi non sente le opere di Rafaello, e di Paolo, hanvi le bambocciate fiamminghe. Al che si risponde essere nella musica, come nella poesia, e nella pittura diversi generi, diversi stili, i quali siccome esigono egual maestria nell’artefice, così richiedono pari discernimento nel giudice, in modo che colui che non aggiunge allo j stile sostenuto dell’opera seria, difficilmente intenderà il semplice della buffa, supposto che sieno ambedue lavoro perfetto nel loro genere} epperciò divien superflua la di|§jl stinzione tra la musica dotta e popolare, perchè ogni musica debbe essere dottissima, cioè vera e buona musica, che significhi qualche cosa, che esprima, che dica quanto debbe dire, e corra speditamente al suo scopo. (Sarà continuato) STIJDJ BIOGRAFICI NICOLO johell: La musica teatrale, se creder dobbiamo all’erudito Mattei, cominciata a crescere ed a farsi bella fra le mani del Sarti, dello Scarlatti, del Vinci, del Sassone, del Leo, giunse a un bel grado di perfezione sotto il Jomelli, che fu il più celebre maestro che mai vedute avesse fin a’quei tempi l’Europa. Egli studiò i primi elementi della musica 111 patria sotto il canonico Muzzillo. In età di sedici anni passò a Napoli nel Conservatorio de Poveri di Gesù, e di poi nell’altro della Pietà, ove ricevette lezioni da un maestro di oscura fama per nome Proto, poi da Mancini, artista distinto della grande Scuola italiana. Ma non ben pago di questi, poiché ebbe appresa da Feo la composizione, imparò da Leo il grande, il sublime della musica} e ben si scorge dagl’intelligenti, eli’ ei fece grandissimo stùdio sulle carte di questo illustre compositore e che spesso rivesti di miglior colorito gli stessi disegni del suo maestro, il quale, già ricco di bella fama, e superiore all’invidia, nel 4 756, mentre si concertava una cantata del Jomelli in casa di una sua discepola, rapito dal piacere, e quasi fuor di sè stesso: Signora. le disse, non passerà molto che questo giovine sarà lo stupore e V ammirazione di tutta VEuropa. Leo andò più volte a sentir quella musica nel teatro nuovo, predicando che i suoi presagi si sarebbero in breve avverali. Secondo il sig. Fétis, a ventitré anni Jomelli aveva scrittala sua prima Opera intitolata Y Errore amoroso, e giusta una notizia del celebre Piccini intorno alla vita di esso, nutriva egli sì poche speranze sull’esito di quel suo primo saggio, che non volle produrlo se non sotto il nome di un compositore oscuro, un tal Valentino. Se non che il favore ottenuto dal suo spartito infiammò l’entusiasmo del Jomelli, il quale da quel momento si dedicò con ardore alla composizione. L’Odoardo fu scritto da lui in età di ventiquattro anni pel teatro de’ Fiorentini, ecf ottenne applauso clamorosissimo. La fama principiò a spargere il suo nome fuori della patria, e fu chiamato in Roma nel 1740, essendogli protettore il cardinale duca di Yorck. Ivi scrisse il Bicimero,poi YAstianone pel teatro di Argentina col più felice successo. Si trasferì quindi nel 1741 a Bologna ove compose YEzio. Il poeta Saverio Mattei, che lasciò una interessante notizia intorno ad Jomelli, narra un sinolare aneddoto che è da riferirsi all’epoca ella dimora di questo compositore in Bologna, ed è il seguente. Recatosi a far visita,al celebre Martini, già salilo in fama di uno de’più dotti musicanti d’Italia, si presentò a lui senza farsi conoscere, pregandolo di ammetterlo tra suoi scolari. Gli diede il Martini un soggetto di fuga, e nel vederlo cosi eccellentemente eseguito: Chi siete voi, gli disse, che venite a burlarvi di me? Anzi voglio 10 apprender da voi. - Sono Jomelli} sono 11 maestro che deggio scriver V opera in questo teatro; imploro la vostra protezione. Il severo contrappuntista: Gran fortuna pel teatro, rispose, di avere un maestro come voi., filosofo; ma gran disgrazia è la vostra di perdervi nel teatro in mezzo ad una turba di ignoranti corruttori della musica. Jomelli confessava più tardi di aver molto imparalo da quell’insigne maestro, e specialmente V arte <T uscire da qualunque imbarazzo od aridità in cui si fosse ridotto un compositore, e di trovarsi in un nuovo spazioso campo a ripiglial e il cammino, quando si credea che più non ci fosse dove andare. Espressioni sincere, dice il Mattei, che io ho intese più volte da lui medesimo} ed egualmente mi confessava che al Martini mancava il genio e che suppliva coll’arte laddove era povera la natura. Dopo d’aver il Jomelli scritto nuovamente in Roma, ed in Napoli, ove, secondo il Fétis compose YEumene, opera che ebbe un esito meraviglioso, fu chiamato in Venezia. Quivi la sua Merope piacque sì vivamente, che il Consiglio dei Dieci, per conservare un tanto artista, lo elesse a maestro del Conservatorio delle figliuole. Per questo Conservatorio egli scrisse varj pezzi di musica sacra, tra’quali è da notarsi i! Laudate, pueri, a due cori dijqualtro soprani, e quattro contralti} la cui esecuzione, dopo quasi settanta anni ch’è scritto, riempie tuttora di ammirazione e di diletto non meno il volgo che i dotti. È desso un capolavoro di! espressione e di armonia. Nel 4 749, scrisse YArtaserse(’pev l’Argentina in Roma, e YOratorio della Passione pel cardinale d’Yorck. Fu appunto a questo tempo e nella gran capitale del mondo cristiano che un insigne protettore, il cardinale Albani, prese ad ammirare e a premiare efficacemente l’alto suo ingegno. Era allora maestro della cappella di San Pietro in Vaticano il Bencini, ma il cattivo stato di sua salute rese necessaria la nomina di un supplente. Ed ecco il cardinale adoperarsi ad ottenere questo impiego pel Jomelli, il quale lo ebbe in fatto e ne prese possesso il §0 aprile del 4749. 11 Piccini riferisce a questo proposito un aneddoto poco verisimile, ma che pur merita di venir qui riportato. «Per essere nominato maestro di cappella di San Pietro, ei dice, è mestieri subire un esame severo. Egli non si reputò abbastanza valente per tentare la prova, e non fu se non dopo avere studiato sotto il padre Martini che si offrì disposto a subire il concorso il quale però non ebbe luogo». - Evidentemente il Piccini confonde le epoche, poiché ad otto anni prima è da riportarsi il tempo in cui Jomelli vide il padre Martini a Bologna e da lui apprese le tradizioni dello stile da chiesa dell’antica scuola. E d’altronde la musica che si eseguisce nella basilica di San Pietro è in uno stile concertato di genere meno severo che non sia quello che si canta nella Cappella Sistina. Così il signor Fétis, il quale segue a riferire come Jomelli rimanesse a Roma per cinque anni, e non si dimettesse dal suo posto che nel mese di maggio del 4754 per andare a Stutgarda ad occupare la carica di maestro di cappella e compositore della Corte, offertagli dal duca di Wirtemberg. Da queste esattissime date si rileva che il Mattei si ingannò quando fece andare Jomelli a Vienna nel 4749 per iscrivervi l’Achille in Sciro e la Didone e quando dice che si fermò in quella capitale per un anno e mezzo. Il viaggio di Jomelli a Vienna ebbe luogo nel 4745. 11 Mattei afferma in oltre che Jomelli strinse