Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1843.djvu/211

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)j Oltre però il fine prossimo o immediato della imi| fazione della natura, hanno le arli imitative; o almeno C aver dovrebbero, uno scopo ulteriore morale, dal clic j traggono maggiormente la nobiltà loro. Entrare in i una disquisizione a ciò relativa sarebbe qui fuor di luogo, di fronte allo scopo clic nel tracciar queste linee mi son proposto, e che ben rammento esser soltanto il dimostrare che la introduzione di pezzi cantali nei balli pantomimici è, in generale, errato divisamcnlo. Se ognuna delle arti belle o imitative ha una serie di mezzi o linguaggio d’imitazione clic le è propria, è un confondere malamente cose che debbono essere separale c distinte, il dare a prestanza all’una il linguaggio che all’altra appartiene. E questa una di quelle sentenze, la verità delle quali più forse si fa sensibile al sentimento mediante esempj appropriati, di quello che le convenga un’argomentativa dimostrazione. - Cosa di più strano potrebbe, infatti, immaginarsi, che, per esempio un basso rilievo dal campo del quale, dipinto accuratamente c con veraci colori dell’aspetto di vaga campagna, staccassero scultc le bianche marmoree sembianze dei nostri primi padri? - Cosa diverrebbe fuor clic un miserando fantoccio la stessa Venere medicea, se di colori fosse al naturale impiastrata? - E chi, in fine, potrebbe trattenere le risa in faccia a un poeta, clic declamando alcuni suoi versi, in cui con tutta la potenza di una bella poesia fosse descritta la pugna di due forti guerrieri, giunto a dire come uno dei due soggiacque ai colpi dell’altro, si ammutolisse ad un tratto, c, anziché con le parole lo desse ad intendere agli allenti uditori coi gesti? - Dcnique sii quotivis simplex dumlaxat cl unum, c’insegnò il Vcnosino, e contrario tanto all’unità che alla semplicità riuscirebbe questo balzare nella stessa produzione dal campo di una in quello di altra delle arli belle, del pari che lo sarebbe dipingere una bella donna che turpiler alrum desinai in pisccm. E lo sarebbe perché i mezzi d’imitazione sono in questi casi di diversa natura, perchè dipendono da una diversa idea primitiva. E per rapporto al rispetto con cui debbon guardarsi i confini che l’una dall’altra le arti belle dividono, che potrebbe congniamente, a mio credere, ripeterai quello ebe con intendimento diverso ne insegnava lo stesso illustre, quando ci ammoniva clic «sani certi dcnique fincs, Quos ultra cilraqtic ncquil consistere recium h. Ogni volta che un artista imprende a dilettare con un lavoro spettante all’arte clic professa, ha luogo tra lui e gli uditóri o li spettatori in certo tal qua! modo una convenzione, un concordalo, per cui, rinunziando è l’uno e gli altri alla generalità dei mezzi con clic la natura può imitarsi, stipulano esser contenti che si ristringano ad un genere solo. I colori, le ombre, le lince promette il pittore; le forme materiali senza i colori lo scultore, c cosi via discorrendo; c di ciò solo promettono contentarsi per parte loro gli spettatori. Per quanto strana possa sembrare questa idea, non meno però la mi par vera, se considero che questo concordalo è appunto il fondamento di tutta la illusione nelle arti. Ora, se quando non senza un certo sforzo è riuscito allo spettatore o all’uditore d’illudersi, gli si richiamano alla mente i mezzi d’imitazione cui si era indotto a rinunziare forzandolo a riflettere a ciò che ha di manchevole l’arte di che sta intrattenendosi ( ed ogni arte cónsidcrata in relazione alle altre è in alcun clic difettiva ), trovasi rotto in un tratto quel fascino sotto l’influenza del quale si stava, c, ritornando egli freddo e assoluto padrone di se, trovasi spoglio e privo di ogni illusione. Perchè avviene che ci disgustano quelle pitture in cui gli antichissimi maestri, con una bonarietà degna in vero dei loro tempi, diffidando di giungere a far sì che le figure da loro effigiate esprimessero ciò clic pure avrebber dovuto esprimere, appiccavan loro alla bocca svolazzanti dipinti cartelli su cui scrivevano parole convenienti alla situazione rcspeltiva? Appunto perchè quel meschino artificio ci fa tanto più sentire quanto in quei dipinti siavi di manchevole; perchè gettandoci all’improvviso dal campo della Pittura in quello della Poesia, fa si che restiamo nello sbalordij mento della disillusione. E cosi è nella mimica, se, ■ dopo esser riusciti a far si clic gli spettatori si con» tentino che ad esprimere affetti non solo ma perfino | le idee si usino gesti soltanto, si torna all’improvviso ■ a far uso della parola. Troppo grande è il sacrificio cui assoggcUaronsi rinunziando alla ricchezza del linguaggio parlalo per contentarsi di quello dei soli gesti, per richiamarli cosi inconsideratamente a rifletj torvi sopra! E, come ognun vede, ciò clic dissi della | nuda parola, può dirsi pure della parola sposata ai; numeri musicali o del canto (1). Per queste cose, dunque, che meschinamente e | come la pochezza mia pcrmcttevami andava io sviluppando, ma che in sostanza sembravanmi vere, credo dover concludere che il divisamento d’introdurre pezzi cantati nei balli pantomimici sia deplorabilmente mostruoso, c come tale da condannarsi, perchè contrario alla retta ragione ed al principio essenziale clic le arti di bella imitazione governa. Resterebbe ora a vedersi se tal divisamento fosse plausibile in vista delle speciali circostanze in cui il Morosini lo concepiva. Ma a ciò converrebbe conoscere l’argomento del suo ballo, che per vero mi è ignoto del tulio. Pur nonostante riflettendo alla natura delle ragioni che mi hanno fallo scendere alla generale sentenza da cui sopra, io non so concepir modo clic l’innesto potesse essere convenientemente eseguito. Ma essendoci detto clic il ballo del Morosini era di genere fantastico, potrebbe credere alcuno che»0" dovesse procedersi con lanlo rigorismo di critica. E, cerio, se per fantastico dovesse intendersi qualche cosa quasi di matto, come pare oggi da taluno s’intenda, non vi sarebbe modo di replicare. Ma quantunque anche la pazzia possa essere subbictto d’imitazione per le arti belle, (c chi negherà il pregio di bella poesia a quelle stanze in cui ii Ferrarese descriveva il furore di Orlando, o non sarà commosso alle noie con clic Pace coloriva i dclirj del padre di Agnese?),, anche ciò ritenuto, coni’ io diceva, non polrcbbe poi scendersi a sostenere da senno che le orli stesse debbano o possano esser malte nel loro esercizio, e fallo d’agni libito licito in lor legge, disprczzino a capriccio lo leggi fondamentali su cui riposa 1 edificio dcll’arliNò cerio.... nò certo credo la finirci sì in fretta, se volessi dar libero corso a tutte, le ciancc che mi prenderebbe ii ticchio di fare: ond’6 clic ad evitar si gran danno interrompo qui iljgià soverchiamente lungo corso della mia cicalata, che rimetto intieramente al vostro giudicio, signor Estensore, ecc., ecc. Abbiatemi intanto sempre pel vostro affezionatissimo L. F. Casamobata. (t) Non vorrei le mie parole fosscr prese da taluno in un senso ben lontano da quello clic intendo esse abbiano, quasiché volessi sostenere non possano le arti belle associarsi cd insieme, unite cospirare allo stesso fine. Nnllajio clic dire contro q_ucsta associazione, clic scirc. Cosi la pittura e la scultura congniamente si associano all’architettura per decorarne gli edifici: cosi alla mimica si unisce la musica, come la si unisce alla poesia, ^pcr renderla più espressiva c gradita. Se le arti però lo fa coi mezzi clic le son propri c con’essenziale indipendenza dall’altra nel loro impiego. Cosi,nel primo sSSsSiHIBES che senz’esse sarebbe, redificio^uf’séràono adecorare! cosi quella musica c compiuta e ni sé perfetta anche mitazione*chMo, s^nd^VmìòtSpdo divederci1 condanno. MUSICA SACRA (Articolo comunicato). Nelle solenni Esequie pei defunti della Società Filarmonica di S. Cecilia, celebrate nel tempio di S. Martino in Venezia", fu riprodotta per desiderio unanime la messa da Requiem, che il chiarissimo maestro G. A. Pcrotli faceva eseguire la prima volta nella basilica Patriarcale di S. Marco nei funerali Soldini. Lo stile di questa musica è sacro, sacra la forma dell’istrumentazionc, sacro il carattere che il dotto maestro impresse in tutte le parti del suo lavoro. L’estetica, c la filosofia gli rivelarono nell’unità del concetto la.varietà delle gradazioni di quelle armonie c melodie, che la feconda sua imaginazione seppe creare, c l’arte lavorò con splendida copia d’istromcnti.! Flebile lamento geme intorno all’ara dell’espiazione: (; voci fioche pregano pace agli estinti: poi all’improv- < | viso una terza maggiore muta il pianto in un palpito < | di g’oja, crescente sino al grido dell’inno, cui segue ‘! la calma; c I’ eterna requie scende a rallegrare d’inefj fabilè dolcezza l’animo del pio credente, memore in: quell’istante de’suoi cari, clic lo hanno preceduto nel i sonno della pace. Il medesimo concetto del Requiem è ripetuto al post Communio, ed al Libera me Domine, c savio accorgimento fu questo del signor Perolti, clic volle conformarsi allo spirito della Chiesa, la quale ivi ripete la stessa preghiera. Nel Te tlccel htjmnus prendono i bassi, i tenori rispondono, poi i contraili, ed i soprani; le (piali voci accompagna una istruinenlazione originale, che non le nasconde, ma le rinforza e le armonizza in modo varialo c beilo: passando quindi all’accento della preghiera traduce con pietose note le parole, cxaudi oralionem meam, c tosto riproducendo il soggetto diritto, c retrogrado, con modo sempre più vibrato compie una fuga, in cui sviluppa tutta la potenza della triade armonica, sotto l’azione della fantasia creatrice c dell’ingegno calcolatore. Nella terribile agitazione del Dies ine: nel clamoroso del Tuba mirum, nell’andante mosso del Mors slupcbil, nel Rcx trcmcndtc mqjestalis, e in tutti i pezzi di forza l’espertissimo maestro fe’sentire quanto potente fosse l’orchestra eli’ei dirigeva, c quanta la sapienza sua nella difficile arte dell’istrumcntaziono. Nel versetto Libar scriplus profcrctur rivelò il senso filologico delle parole, in quo loluin conlinclur proponendo un soggetto fondato sui tre accordi generatori, nei quali l’essenza dell’arte è riposta. Qui è da osservarsi un singolare pregio del maestro, clic seppe tenersi lontano dall’abuso delle reboanti orchestre, il cui effetto è rintronamento di orecchi. Egli tradusse le sacre parole con soavi melodie nel metro dell’inno, c nei modi affettuoso, devoto, solenne, allegro, c versando intorno alle armonie una islrumcntazione naturale c facile, ottenne mirabili effetti. Nel Recordare concertò tre voci accompagnate dagli Oboe, c dai Clarini, e ne trasse un concento celeste. Una voce dolente esprimeva la contrizione, della preghiera Oro supplex, cui accompagnavano due Corni, rispondenti a quel pianto, a quel dolore. Nel Laergmosa dies illa è riprodotto il primo motivo clic costituisce I’ unità della composizione, completata da una fuga sulle parole Die Jcsu Domine lavoro di profonda scienza delle armonie. L’erudito maestro nel Sanctus ripetuto tre. volle ricordò, essere la sacra liturgia non umano ritrovato, si bene inspirazione del grande Apostolo, che in Patmos scrisse quanto avea veduto in un’estasi divina; ricordò, clic colle forme dell’Ara santa, dei candelabri, delle corone di fiori, dei cerei accesi dei turiboli, versanti odorosi incensi (pici gran Profeta ebbe dai Cicli il tipo fonico del culto esterno, che rivelò poi alla Chiesa universale. Il quale divino concetto, sdegnoso dei brevi periodi della cavatina, c della romanza, recondito come l’arcana lingua della Bibbia, il valente Pcrotli traducca col terribile c sublime manifestazione dell’immensurabile potenza degli accordi, j Queste parole di lode scrive un amico dell’illustre i maestro Pcrotli, consolalo di trovare in Venezia vivo J ancora il genio della.Musica Sacra. E ilici dicca il |l grande Mayr. Nella mia diletta Venezia arde ancora j! il sacro fuoco; custode di quello vegliava un tempo i| il mio maestro Bertoni, vegliò Furlaiietlo; ora tro- il vcrai il maestro Pcrotli, a cui ricordami spesso amico, ammiratore..46. Rcrnardo Bianchi. I. R. TEATRO ALLA SCALA Giovedì sera ebbe fine la stagione autunnale pel nostro grande teatro; la folla era compatta nella platea, l’aristocrazia c la bellezza brillavano nei palchi; persino il loggione presentava il suo inesplicabile aggomitolamcnto di persone, che sembrano innalzarsi le une sulle spalle delle altre: era insomma uno di quei magnifici teatri che rallegrano lavista degli spettatori, e che fanno sorridere le fronti degli impresari. La pluralità di questo pubblico rispettabile c numeroso era accorsa per festeggiare con un ultimo c grandioso trasporlo d’entusiasmo il talento meraviglioso c l’inarrivabile esecuzione delle Milanollo, che davano, fatto unico nei fasti delle nostre accademie, il loro oliavo concerto, ili inutile dunque il dire clic la parte più eminente dello spettacolo fu costituita dai pezzi suonati da queste due celebri fanciulle, c che il resto non fu clic la cornice, più o meno apprezzabile, del quadro, per continuare la metafora, formalo dalle note sgorganti sotto i magici archetti delle microscopiche arlislc. La nostra Gazzella s’è già varie volte occupala delle j Milanollo, ed ha cercalo di adoperare a vicenda il ] suo vocabolario jaculatorio ed artistico nel costatare «la apparizione ed i successi di questi due astri musicali clic scintillano d’una luce si pura c sì slraordi