Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1843.djvu/222

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- 2-18 DOCUMENTI ISTORICI AI‘PK*nlCK ai.i.’abticoi.o JACOPO PERI (Vedi i fujU 44 e 46). Prefazione delle musiche di Jncopo Pori nobile Fiorentino sopra I’F.oridice del signor Ottavio Rinuccini rappresentala nello sposalizio della cristianissima Maria De Medici regina di Francia c di Navarra. Firenze, per Giuri/in Marcseolli, 1600. «Prima ch’io vi porga, benigni leltori, queste musiche mie, Ito stimato convenirmisi larvi noto quello che mi ha indotto a ritrovare questa nuova maniera di canto, poiché di tutte le operazioni umane la ragione debbe esser principio e fonte, e chi non può renderla agevolmente dà a credere d’aver operalo a caso. Benché dal signor Emilio Del Cavalit ogni altro, ch’io sappia, con i invenzione ci fosse latto udir i che da taravigliosa: la nostra musica su le scene, piacque nondimeno ai signori Jacopo Corsi ed Ottavio Rinuccini, fin dall anno 4594, ch’io adoprandola, in altra guisa, mettessi sotto le note la favola di Dafne del signor Ottavio composta per fare una semplice prova di quello che potesse il canto dell’età nostra. Onde veduto che si trattava di poesia drammatica, e che però si dovea imitar col canto chi parla (e senza dubbio non si parlò mai cantando), stimai che gli antichi greci e romani, i quali secondo l’opinione di molti cantavano su le scene tragedie intiere, usassero un’armonia che, avanzando quella del parlare ordinario, scendesse tanto dalla melodia del cantare, che pigliasse forma di cosa mezzana*, e questa è la ragione onde veggiamo in quelle poesie avere avuto luogo il jambo ebe non s’innalza come l’esametro, ma pure è detto avanzarsi olir’a’confini dei ragionamenti famigliali. E perciò tralasciata qualunque altra maniera di canto udita fin qui, nu diedi tutto a ricercar l’imitazione che si debbe a questi poemi, e considerai che quella sorte di voce che dagli antichi al cantare fu assegnata, la quale essi chiamatati diasi emalica (quasi trattenuta o sospesa), potesse in parte effettuarsi e prender temperato corso tra i movimenti del canto sospesi e lenti, e quelli della favella spedili e veloci, ed accomodarsi al proposito mio come l’accomodavano anch’essi leggendo le poesie ed i versi eroici, avvicinandosi all’altra del ragionare, la quale continuata appellavano, il che i nostri moderni, benché forse ad altro fine, hanno ancor fatto nelle musiche loro. Conobbi parimente nel nostro parlare alcune voci intonarsi in guisa che vi si può fondare armonia, e nel corso della favella passarsi per altre molte che non s’intonano; finché si ritorni ad altra capace di movimento di nuova consonanza. Ed avuto riguardo a que’ modi ed a quegli accenti che nel dolerci, nel rallegrarci, o in somiglianti ci servono, feci muovere il basso al tempo di quegli or più or meno secondo gli affetti, e lo tenni fermo tra le false e tra le buone proporzioni finché, scorrendo per varie note la voce di chi ragiona, arrivasse a quello che nel parlare ordinario intonandosi apre la via a nuovo concento. E questo non solo perché il corso del ragionare non ferisse l’orecchio, quasi intoppando negli incontri delle ripercosse corde delle consonanze più ( spesse, o non paresse in un certo modo ) ballare al moto del basso, e principalmente nelle cose o meste o gravi, richiedendo per natura le altre più liete più spessi movimenti: ma ancora perchè l’uso delle false, o scemasse o ricoprisse quel vantaggio che vi si aggiunge dalla necessità di intonare ogni nota, di che per ciò fare potevan forse aver manco bisogno le antiche musiche. E però, siccome io non ardirei affermare questo essere il canto nelle greche e nelle romane favole usato, cosi Ito credulo esser quello che solo possa donarcisi dalla nostra musica per accomodarsi alla nostra favella. Onde fatta udire a quei signori la mia opinione dimostrai loro questo nuovo modo di cantare, e Siacque sommamente, non pure al signor acopo Corsi, il quale avea di già composto arie bellissime per quella favola, ma al signor Piero Strozzi, al signor Francesco Cini e ad altri molti intendentissimi gentiluomini, che nella nobiltà fiorisce oggi la musica, come anco a quella famosa che si può chiamare l’Euterpe dell’età nostra, la signora Vittoria Archilei, la quale ha sempre fatte degne del cantar suo le musiche mie, adornandole non pure di gruppi e di quei lunghi giri di voce di semplici e doppi che dalla vivezza dell’ingegno suo son ritrovati, ed ognora più per ubbidire all’uso dei nostri tempi, che perch’ella stimi consistere in essi la bellezza e la forza del nostro cantare, ma anco di quelle vaghezze e leggiadrie che non si possono scrivere, o scrivendole non si imparano dagli scritti. Ludi e la commendò messer Giovanbattista Jacomelli, che in tutte le parti della musica eccellentissimo, ha quasi cambiato il suo cognome col Violino in cui egli è mirabile; e per tre anni continui clie nel carnevale si rappresentò fu udita con sommo diletto, e con applauso universale fu ricevuta da chiunque vi si trovò. Ma ebbe miglior ventura la presente Euridice, non perché la sentirono quei signori ed altri valorosi uomini ch’io nomai, e di più il signor conte Alfonso Fontanella ed il signor Orazio Vecchi testimoni nobilissimi dèi mio pensiero, ma perchè fu rappresentata ad una regina si grande ed a tanti famosi principi d’Italia e di Francia, e fu cantata da i più eccellenti musici dei nostri tempi. Fra i quali il signor Francesco Rasi nobile aretino i rappresentò Aminta, il sig. Antonio Brandi: Arcetro, ed il sig. Melchiorre Palanlrplti! Plutone; e dentro alla scena fu suonata | da signori per nobiltà di sangue cellenza di musica illustri: il ugue e pei signor Jac Corsi, che tanto spesso ho nominato, suonò un gravicembalo, ed il sig. Don Garzia Montalvo un chitarrone: Messer Giovanbattista dal Violino una Lira grande, e Messer Giovanni Lapi un liuto grosso. E benché fin d’allora l’avesse fatta nel modo appunto che or viene in luce, non di meno Giulio Caccini detto romano, il j cui sommo valore è noto al mondo, fece I le arie di Euridice ed alcune del Pastore! e Ninfe del coro e dei cori, - Al canto I, al ballo - sospirate - e - poiché gli eterni ■’ imperi, - e questo perchè doveano esser cantate da persone dipendenti] da lui, le quali arie si leggono nella sua, composta j e stampata pur dopo che questa mia fu j rappresentata a S. M. cristianissima.» Ricevetela però benignamente cortesi n lettori, e benché io non sia arrivato con que- ij sto modo fin dove mi pareva di poter giuu- i gere, essendo stato freno al mio corso il rispetto della novità, graditela in ogu i modo, e forse avverrà che in altra occasione ì io vi dimostri cosa più perfetta di questa. | Intanto mi parrà di aver fatto assai avendo i aperta la strada al valore altrui di camini- fi ilare per le mie orme alla gloria, dove a ^ me non è dato pervenire. E spero che 1 uso delle false sonate e cantate senza paura, discretamente ed appunto (essendo piaciute a tanti e sì valorosi uomini) non vi saranno di noja, massime nelle arie più meste e più gravi d’Orfeo, d’Arcetrò e di Dafne rappresentata con molta grazia da Jacopo Giusti fanciulletlo lucchese. E vivete felici. Firenze, li 6 Febbrajo 1600. Jacopo Peri. ILEI]STRAZIO*E; Chi da curiosità fosse preso di aver sott’occhio questa famosa Euridice di Jacopo Peri, al primo aspetto resterebbe forse maraviglialo nel veder tanta celebrità rinchiudersi in un piccolo volumetto, in foglio di cinquantadue pagine di stampa, rarissimo oggi a trovarsi, ma che pure qualche esemplare ne esiste dei quali uno se ne conserva in Firenze nella pubblica libreria Magliabechi. Certo che limitandosi ad un semplice paragone della mole di questo opuscolo con quella dei nostri attuali Spartiti, sfavorevol giudizio potrebbesi formare di tal’opera; ma quando si rifletta esser questa la primitiva pietra su cui a poco a poco si inalzò il grande edilizio della nostra musica drammatica, non si potrà a meno di riguardarla con rispetto e con venerazione. E se uno spirilo di analisi vorrà seguirci nell’esame di questo lavoro del Peri, facilmente ci sarà dato il riconoscervi grandissima profondità di sentimento, espresso è vero con forme musicali che giudicar si possono I’ abbozzo o l’embrione delle presenti, ma che pure alcune ve ne ha nella melodia che il tempo non per anche ha fatto vecchie, giacché pur oggi nei nostri recitativi si incontrano. Ciò che in questi primi recitativi più superiormente è da ammirarsi, sono quelle ardite transizioni che niuno prima del Peri avea tentato, lo che diede origine alla moderna modulazione. e stabiliva in fine il nostro sistema onnilonico, in cui ognuno qualunque dei suoni ammessi nel musical sistema può indistintamente esser costituito tonica di un modo maggiore o di un modo minore con libera facoltà di cambiar questo e quello nel corso del pezzo istesso secondo che più piaccja o torni comodo alla espressione delle idee. Non che i compositori di musica che precederono o furou contemporanei del Peri ignorassero il trasporlo dei modi su gradi differenti da auello cosi detto naturale, artificio già nato al bisogno di pareggiare il grado del diapason di alcuni stromenti con il registro delle voci con che unir si volevano: ma tali trasporti non si usavano come oggi nel corso di un medesimo pezzo di musica e solo per servire alla varietà era concesso il far riposare il periodo con cadenze medie alla quinta, o alla quarta, o alla sesta ed anco ad altri gradi del modo principale. Soltanto i compositori di madrigali aveano osato alcuna volta, ma con gran circospezione di allargarsi un poco in questa sorte d’artifizio, dappoiché s’inconnnciò in qualche maniera a tener die- { tro con la musica alla espressione del concetto poetico e della parola. E giusto ap- f punto per seguir coi suoni musicali più d„ ( SEGUE IL SUPPEE MEATO