Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1844.djvu/146

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- 442 — sere la voce, uno solo 1 accento } poiché in quella straziante congiuntura. se male non mi espilino, quelle di Romeo e Giulietta non sono più due anime amanti che si leghino in armonia, ma bensì due vite che si fondono in una sola), dico che quanto è filosofico nei Capuleti, altrettanto b uso di codesto unisono contrasta col retto sentimento dell arte nel punto citato dell altro spartito, nel quale disparatissimi sono gli affetti di Beatrice e di Agnese-, imperciocché quelli esprimenti nobile orgoglio, maestosa rassegnazione, alla gratitudine} questi indicanti le prime ferite del rimorso che lacerano un cuore impuro, seduttore, simulato} quelli aperti e decisi, questi soffocati, celali, incerti: quelli espressi sotto forma di dialogo indiritto ad Orombello, questi repressi ed interrotti sotto quella di un angoscioso monologo. E perciò nessuna ragione drammatica domandava un medesimo ritmo, una medesima accentazione, meno ancora un unisono: perciò se il canto di Beatrice è, come è infatti, Indevotissimo, applicato ad Agnese forza è che sia falso. Dal che risulta chiaro, che Bellini qui non si servì del1 unisono die nella illusoria intenzione di riprodurre un effetto per lo addietro col medesimo sistema ottenuto. E si ingannò*, e non era difficile il prevederlo. - Gli unisoni de1 soprani trascinarono naturalmente a quelli delle altre voci. Venne l1 Introduzione della Norma colla sua potente perorazione all uuisono a schiudere nuovi effetti di energia e potenza vocale, a cui non si era accostumati. E subito, zeppe di unisoni le opere di qualunque maestruccio: unisoni che alla fin fine non ebbero e non hanno, forse ora più clic prima, altro scopo, adoperali come sono incessantemente e senza nessun principio movente filosofico, se non quello di coprire all’ombra del frastuono l’impotenza a saper concertare tre o quattro voci con un po’di garbo, intendimento d’effetto e ben inteso studio. Non io mi sono qui inteso pero di dire che Bellini sia f inventore dell’uso degli unisoni: non maq ma soltanto che Belimi si fu il primo in Italia a presentarli sotto un particolare punto di vista più sentito e distinto. Ed ahi! forse se non era Bellini il primo ad usarne, non avremmo ora a deplorare cotanto la miseria di idee e il vuoto fracasso di centinaia e cenlinaja di composizioni moderne! E vogliasi anche distinguere l’uso parco e quasi sempre ragionato che ne fece Bellini dallo stolido abuso degli imitatori. Ma dove diamine mai mi son io trascinato? M’avvedo che in luogo di parlare della Scala e degli attuali Capuleti e Moriteceli!, sou pervenuto a tessere una dissertazione storico-critica sugli unisoni, argomento le mille volte predicato, e pur troppo non ad altri finora che al deserto. Confidiamo nel tempo, e, se non nel buon senso dei pubblici, nella smania di questi tanto in voga di cambiare tutto ciò che sappia un po’ di ripetuto. Però giova notare che a tutte queste chiacchere ed al primo esordio condussemi il pensiero dell’esecuzione attuale al nostro gran teatro dell’accennato finale. Davvero che col movimento acceleratissimo con cui si eseguisce questa appassionata stretta non si corre pericolo per eccessivo sentimento di provare le vertigini, nè di sentirsi tampoco venir la febbre, e (piasi quasi sarei per dire nemmeno di raffrenare per un istante il I bisogno d’uno sbadiglio. In veO _ -, • • • iità sono cose da far inquietare i morti: il solo che non debba andare in collera per questo non però tra noi sì rado accidente, sarà il nostro Geremia Vitali, il quale potrà portare in campo un nuovo valido esempio, onde confortare la sua favorita opinione dei minuti misuratori dei tempi musicali. E notisi che tale stretta è pure preceduta sulla partizione dal semplice motto Allegro: e poi mi ricordo benissimo come si eseguiva questo pezzo appunto a Venezia, dove vide la luce: ei deve prendersi quasi una metà più ritenuto del movimento qui adottato. Aggiungasi che oltre la perduta grandezza e maestà della frase, riesce pressoché impossibile comprenderla, chè anzi forse non la si indovina, se non perchè la si sa a memoria^ aggiungasi che rimane impossibile alle cantanti interpretarla integralmente perchè non han tempo da respirare, che riesce impossibile emettere colla pompa voluta la voce, perchè non trovansi note di valore bastante a poggiarla: impossibilissimo eseguire l’agitato contrattempo de’ stromenti d’arco impossibilissimo marcare con forza coi contrabbassi quel solenne pizzicato contrastante con tanta passione nelle sue quattro note per ogni misura colle sovrapposte sei del canto impossibile apprezzare la sfuggente risoluzione di quelle lunghe appoggiature della melodia impossibile f esecuzione delle terzine di crome de’ violini} impossibili le semicrome de flauti, clarinetti, ecc. e tante altre impossibilità, che qui non voglio enumerare. delle quali l’ultima e più grossa è quella in cui trovasi 1 uditore di poter fare cioè uno sforzo d’immaginazione per persuadere a sé medesimo che quella cantilena, ridotta in tale stato, possa più chiamarsi bella, filosofica e di alto concetto. La si prenderebbe quasi quasi per una frase ballabile di furlana!! 1... Da qualcuno mi viene però assicuralo che dall abile maestro al cembalo la si voleva meno mossa, alla quale opinione avrebbe ingiustamente e senza diritto prevalso quella di taluna delle parli esecutrici: tal altro al contrario m’accerta che tutte le altre volte in cui si diede quest’opera in Milano il pezzo fu sempre eseguito come adesso, e non altrimenti. Per conto mio, noto essere la prima volta che ho il bene di udirla in questo teatro} non esito del resto a dire che l’esecuzione di questo brano è assai malintesa, e che l’effetto senz’altro ne rimane parodiato. Se lo spartito che l’impresa ci offrì per primo di codesta lunga stagione (nella quale si promettono, si sperano, e si attendono grandi cose) non ambisce al pregio di novità, sotto questo punto di vista fummo invece compensati ne’ principali degli attori destinati ad eseguirlo. Essi sono lutti nuovi. La signora Gresti (Giulietta) ne giunge dall* avere, credo, esordito a Padova. Ila una voce fresca, limpidissima, ed assai sicura negli acuti, sui quali eseguisce alcune cose largamente poggiate, che a qualunque altro organo riescirebbero azzardose, e che ella invece sostiene con facilità rimarcabile. L’uditorio non ha pesalo il pregio di questa dote, degna ciò non pertanto di riflesso e di encomio. Le note medie sono mancanti di colore: delle basse non fece uso. La respirazione è buona, lunga e sicura} 1 intonazione pure in complesso lodevole. Il timbro però della sua voce tende allo stridulo, e sarebbe cosa ben fatta il moderarne la spinta. Il canto è abbastanza corretto: ma sembra mancare di un sentire si delicato che vivo. Quello di che la signora Gresti deve assolutamente correggersi si è quell* incessante e pesantissimo strascinio di voce ed in su ed in giù, e del quale il parterre ben fece ad avvertirla più d’una volta. E sempre condannevole, più ancora in lei, che sembrami possieda ogni facilità nell* attacco de’ suoni. La signora Gruitz (Romeo) ha voce di rara estensione. Può toccare, sensibilmente nel grande teatro, il la sotto il rigo, ed emette con una potenza straordinaria il si e do acuti} tutte le note di testa, cominciando dal mi. fa, ecc., sono magnifiche e d’un volume nobile, forte e pieno. II tratto medio di quinta sol-re manca disgraziatamente del colore grandioso e della forza delle anzidetto} perciò il cantare naturale e tranquillo di quest* artista poggiando. nella sua qualità di mezzo-soprano, continuamente sulla quinta indicata, manca alcun poco di volume, grandezza ed energia. Ma appena ella oltrepassi questi limili si rileva potentissima. Le note di petto sono fescamente gutturali, ma in certi momenti marcati riescono di qualche effetto} il difetto notato però potrebbesi correggere, in parte almeno, moderando 1 esagerata tensione della gola nella emissione l / O *» delle suddette note gravi. E questo un errore nel quale cadono a torme le cantanti che son provviste di un voluminoso ed esteso registro di petto. Ritengono esse colla spinta ottenere maggior forza, ed invece la scemano, e non ne ritraggono che gutturalismo disgustante. Le note di petto per essere pure e splendide han bisogno di tutta la tranquillità e morbidezza del canale vocale. Se devesi argomentare dal continuo spezzamento che la signora Gruitz fa di qualunque frase, sembra doversi ritenere che la sua respirazione sia corta, anziché no. Sarebb’qgli difetto di scuola? - Egli è però un bel talento quello di questa cantante: un talento pieno di fuoco italiano, e di quel sentire che non s* insegna. E perciò ritengo che depuralo il suo canlo da qualche mal intesa variante, e da alcun che di poco netto, troppo azzardoso ed esageratamente gridalo di che lo inceppò la prima sera, questa artista saprà guadagnarsi nel progredire delle rappresentazioni le simpatie del pubblico milanese. Il tenore Ricci, pressoché novello alle scene, fu lietamente accolto. Dice con garbo} ha bella voce, gratissima in modo speciale nelle note si, do, re, mi, fa, e che collo studio potrà perfezionare e nelle inferiori e nelle superiori a queste cinque. Diligentissimo il Fedrighini nella parte di Capellio. Alberto Mazzucato. PROMETEO", ballo di Ugnilo riprodotto dal compositore ’ Ottimo divisamento per certo si fa il riprodurre sulle maggiori nostre scene una delle più splendide creazioni di Vigano (1), T incomparabile artista clic innalzò il linguaggio de’ gesti quasi ad emulare quello della parola e trasse il corpo di ballo dallo stato di nullità; che con mirabile accorgimento nella distribuzione c mossa delle masse, nella disposizione de’gruppi si mostrò altrettanto pittore che poeta, e con finissimo gusto seppe appropriare la musica, dai più celebri 01 (il Salvatore Viganò di famiglia milanese, nacque in Napoli nel 17G9 c morì in Milano il 10 agosto 1821.