Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1844.djvu/162

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r - do8 i e favorite. Quella di Parigi, giunta al più luminoso suo apogeo., è una straordinaria solennità nazionale» 1 cui risultali sono incalcolabili non solo per la Francia, ma eziandio pcr I"intiera Europa. Ci gode l’aniinp verificare come la ricchezza industriale lombarda vada progredendo di anno in anno. La presente nostra esposizione, in cui si ammirano oggetti i più notevoli, è degna di speciale attenzione. A noi incombe tener (pii parola solo de’ prodotti appartenenti alla musica o aventi rapporto colla belFarle; daremo principio coi pianoforti. Al clavicembali; il cui esile e strimpellante suono era il menomo difetlo, successe il pianoforte, 1 invenzione del (piale dalla maggior parte de’ più stimati autori vien attribuit i a Bartolomeo Cristofori di Padova, che nel 1710 aprì a Firenze una manifattura di spinette e di clavicembali, e nel 1718 ne immaginò uno di questi ultimi munito di martelletti e di congegni tali da farlo considerare come l’origine del pianoforte. Troppo lungo sarebbe indicare i miglioramenti introdotti di mano in mano nella fabhi icazione degli stroniciiti per una sala i più completi ed i più ricercati. Le altre nazioni ci sopravanzarono: l’Italia, paga dell’invenzione, sotto questo rapporto si mantenne in uno stalo di letargia, e, se qualche volta si scosse lo fu per istanti, ad interminati intervalli e senza prò- | durre dislinlc e durevoli conseguenze. La fama acquistata dai costruttori italiani non fu che municipale. Il Gervasoni ci serbò i nomi del Gherardi di Parma, dello Scappa di Milano, del Cresci di Livorno, del Viola e del Tadolini di Bologna, del Salvi di Genova. A questi tennero dietro Ponti, Elli, Prestiilari, 1 renlin (inventore del pianoforte organistico), Gilardoni, Tacconi che nel 4822 espose un pianoforte a voci tenute, Massera che immaginò il Panlofotio, Cattaneo, i cui sonori istromenti a coda potevano gareggiare con quelli d’oltreinonle, Vago, Bernasconi c suoi successori, Wciss, Riva, Sala, ccc. Tutti gli ora nominati ebbero od hanno non troppo fiorenti fabbriche nell’alta Italia: Milano fra questi ne conta non meno di undici. A Firenze il Ducei va estendendo la propria manifattura; ed a Napoli, ove concorsero varj artisti esteri, esistono quelle di Molitor, Demeglio, Breilschneider, Max, e Sievcrs, il più stimalo di tutti. Ciò nulla meno insignificante, per non dir nulla, è l’esportazione dalla nostra penisola, nel mentre l’importazione de’ pianoforti si mantiene considerevolissima, c pel loro acquisto siamo obbligati inviare ogni anno enormi somme a Vienna ed in Francia. Un tale, nostro stalo di passività commerciale ed industriale proviene dal nessun incoraggiamento accordato a lavori de’nostri fabbricatori; i quali, se dalla pubblica opinione non fossero avviliti, certamente non mancherebbero di costruire una lunga sequela d’istromenli: migliori de’ rari che con impegno compirono più pcr amor proprio che pcr conseguito interesse, e de’ non molli da essi fabbricati colla vista di poter vendere ai più bassi prezzi, onde almeno dall’economica attrattiva taluno venisse indotto a procurarseli. - Prendasi esempio dalla Francia, che prima della pace del 181 i ben poco travagliava e sempre mediocremente, c che in meno di l cent’anni si acquistò il primo rango per la fabbricazione del pianoforte in Europa, emancipandosi dal tributo che un dì largamente pagava all’Inghilterra ed alla Germania. - Dalla parte de’ nostri fabbricatori vuoisi tenacità e conscienziosità nel lavoro; da quella del pubblico buona disposizione pcr servire di stimolo e d’incremento ad una manifattura oramai ndispensab ile. I tre pianoforti esposti da Ambrogio Riva evidentemente fan fede di progresso nella fabbricazione indigena tanto per la qualità di suono, quanto per solidità, efficacia nel meccanismo ed eleganza esterna. Quello a coda, il cento cinquantcsimonono uscito dalla fabbrica Riva, presenta alcune dislinlc particolarità nella meccanica: i martelletti, non attaccali al tasto, con ingegno sono appoggiati sopra un solo telajo mediante, cambrette di legno che li tengono fermi, in modo da non poter batter falso c da dover percuotere sempre le rispettive corde neH’islcssa precisa direzione, c pertanto si evita l’inconveniente delle solite cambrette alla viennese che facilmente logorandosi, in pochi anni fan sì che il martello traballi c ne derivi un disuguale e spesso non giusto rispondere al tocco del suonatore. Anche nello Bmorzatojo di questo buono c bel pianoforte rilevatisi vari cambiamenti. Le corde sono tutte di acciajo inglese, - Nel pianoforte quadrilungo a piccola dimensione, in legno di noce intarsiato con acero e pavonasso, pure si riscontrano i martelli disgiunti dal tasto: il meccanismo vi è reso più fermo c pronto dall aggiunta di un confro-ntar/cf/c; l’armatura di ferro con lastra, ove sono attaccale le corde, assicura l’accordatura c dà alla voce un timbro brillanto e vibralo, di molto supcriore alla piccola mole dell’istromento dell’estensione di sei ottave c due tasti. Ciò dicasi eziandio dell’altro pianino a tavolo in frassino, copia di fra altro monica, a sci ottave e mezzo, fedele e ben riuscita quelli di Boisselot di Marsiglia, nel quale notasi la maggior dimensione, della tavola orlo scamparlo delle corde in sensi opposti ai consueti, i martelli diversi de’comuni e tutti assicurali al metallo. Il ribatter delle note, il trillo, il pianissimo riescono agevoli come sopra un pianoforte di gran formato, a cui assai si avvicina pell’oscillante suono. Della accordatura di questi tre istromenti si può bcnc“prcsagire. Ora che brevemente abbiamo accennato ai pregi de’ nuovi pianoforti del Riva, il (piale meritasi a preferenza elogi por le assidue sue cure nell’introdurre fra noi buona parte de’ perfezionamenti promossi in Francia, pcr essere imparziali non taceremo che ei potrebbe nella sua fabbrica operare nuovi miglioramenti ancora in (pianto ad uguaglianza ed omogenea robustezza ne’ suoni, non che alla prontezza c precisione nella tastiera ed alle solide proporzioni meccaniche. Diamo fine a questo primo cenno sull’esposizione col rivolgerci a’ nostri cultori di pianoforte, eccitandoli a non obbliare che anche in Milano esistono fabbricatori i cui prodotti ponno loro ben convenire tanto pel prezzo come per la qualità. Non è forse lusinghiero c lodevole intendimento quello di cooperare al vantaggio ed al successo di una manifattura patria? 1. Cambiasi. mr a oadob IH? FH.OlHt.VtmATlCl Sartlan/iiHilo. Melodraitinia <11 Pietro Rotondi musicato dal Conte Giulio Litio, ed eseguito dalla Migliora Abbuili" e dai Migliori Ali f ci, JFerri e Rigo. il die lu el corso di pochi giorni si die^dero sei rappresentazioni di ^questo nuovo lodato lavoro del Schiaro sig. Conte Giulio Litta: e la sesta fu anche f ultima} di rammarico a molti, che, altesa f impossibilità di poter procurarsi un biglietto d’entrata in quelle prime sere, dovettero rinunziare ad un sì gradevole trattenimento, inutilmente lusingandosi, come pure si aveva vociferato, che per tutto il corrente settembre si dovesse tratto tratto riprodurre. Or qui riteniamo inutile il dilungarci, col render conto del caldo plauso, del quale compositore ed esecutori giustamente venivano ad ogni nuova rappresentazione retribuiti dagli affollatissimi invitati. Ciò fu detto e ripetuto da tutta la stampa periodica. Accenneremo soltanto brevemente della musica. Questa nuova composizione adunque del Nobilissimo musicista rivela nell autore un progresso-, se non negli studj, nella larghezza del concepimento. Intendiamo di alludere al confronto del nuovo spartito coll’antecedente primo esperimento dello stesso sig. Conte Litta, dal titolo Bianca di Santafiora. E l’uno e l’altro abbondano di eleganti e ben appropriate melodie: le quali d’altronde nel primo forse più che nel secondo svariate e popolari. Ma Sardanapalo posto a paragone della Bianca ambisce al primato, come dicevasi, per niaggior vastità di concetto, vale a dire, per maggior unità d‘ idee, per più dotta disposizione di colori, infatti pcr maggior maestiia. o pratica che voglia chiamarsi. Aon diremo che la tinta generale della musica s’elevi a quanto di sostenuto il melodramma sembrerebbe richiedere: ma giova pur notare che non v’hanno bassezze, che le cantilene, se non sono grandi, sono costantemente interpreti fedeli della parola, e non guadagnatisi il plauso con altri mezzi che non sieno quelli della verità e della naturalezza. Questo dal lato carilo^ che la stessa cosa non può dirsi da quello dell {strumentale: il quale sembrò eccedere spesse fiate in frastuono, e il più delle volle senza palese motivo. La banda sul palco scenico troppo numerosa influiva più sensibile tale difetto. Dovremmo in vero una volta persuaderci a rendere ancora che gli effetti domandali al grido ed al frastuono sono ornai effetti perduti. Il signor Conte Lilla medesimo devesi pure essersi avveduto che i meno festeggiati de suoi pezzi furono appunto quelli, de quali base principale sembrava essete lo strepito. - Anche i cori di questo spartito difettano qua e colà di varietà di colorilo, nè sembrano avere (pianto vorrebbesi di caratteristico e marcato nella fattura. Ma tulio quanto concerne i cantabili de’ personaggi principali vi è distintamente lodevole. Poiché non isforzo di tessiture vocali, non esagerazione di grida, ma invece un canto chiaro, franco, gentile sempre, e soventi nobile. L’impasto dei pezzi in generale non può attendere al vanto di nuovo: veste però convenientemente la poesia, colla quale cammina sempre, direm così, di fraterna intelligenza. E non è in giornata lieve merito. Delle (piatirò parti, componenti il non breve melodramma, f ultima è la migliore ed è veramente di bellissima composizione. L’aria di Mirra in ispecial modo è bene ideata, ed improntala di qualche originalità nel primo tempo: la cabaletta è piena di vita, sviluppo e grandezza. E il pezzo capitale dell’opera: e potrebbe esserlo, non di questo solo, ma di molti e molli spartiti che godono fortuna ed onore. Destò viva impressione pure il duetto finale tra Sardanapalo e Mirra, che è infatti trattato e svolto con deliziosa gentilezza nell adagio. Aon garbami però in modo assoluto l’ultimo tempo mosso con cui si chiude il ben inteso unisono Addio terra! Molti altri brani degni di elogio potrei accennare, quali sarebbero il finale della parte prima, l’altro duetto tra i due succitati personaggi, l’aria del protagonista. la stretta del quartetto: ma non vuoisi dimenticare la nobile sortita di Sardanapalo sì grandemente adatta alla tonante voce del Ferri, e che si compie così solennemente colla bella frase sulle parole Già troppo di sangue bevette la terra E tempo che miti ritornino i cuor. E melodia ed esecuzione davano un lutto pieno di grandezza pomposa e, direi, regale. La poesia del nostro coltissimo Rotondi si svolge con facile e ben tessuta orditura. Il verso è mai sempre musicabilissimo. Alberto Mozzicato.