Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1844.djvu/171

Da Wikisource.

O ■■■_qualora si voglia riflettere, che lo stile tartiniano colorito di tinte finissime perderebbe forse ogni sua grazia se gli si aggiugnessero in troppa copia oppur caricali di soverchio gli accordi, come se alla linda movenza de’puttini dell’Albano volesse un pittore accoppiare l’atteggiamento animoso di Giulio, o la schietta nitidezza dell’Aminta del Tasso s’esprimesse collo stile lumeggialo e forte d’un Alessandro Guidi o d un Frugoni. Per le fatiche di questi e d’altri valenti compositori f arte degli accompagnamenti fu condotta alla maggior perfezione, e l’orchestra, parte così necessaria all’ottima riuscita del dramma, si vide disposta dagli uni e regolata dagli altri con incomparabile maestria. Non più si collocarono alla rinfusa gli strumenti, nè si credette che il numero e La scelta di essi nulla avesser a che fare colla espressione ma si pensò bensì che! una e l’altra di queste cose contribuissero assai a produrne il total effetto. Partendo dal principio della unità accennata di sopra conobbero essi, che essendo fatto non il canto per gli stromenli. ma sibbene gli stromenli pel canto, non doveano quelli primeggiar sulla voce del cantore, ma solo clovean regolarla, sostenerla e rinvigorirla: che essendo ciascuno stromento necessario in parie al fine propostosi, non dovea l’uno impedir l’azione deli altro, cosicché il Basso. per esempio, affogasse la voce di tutta l’orchestra, o gli stromenli da fiato signoreggiassero su quelli da corda, o questi all’incontro su quelli: che non convenendo mischiare fra loro suoni di diversa natura, faceva mestieri collocar insieme gli stromenti della medesima specie acciò si accordassero meglio, e con maggior esattezza sonassero: che i bassi però si dovessero interpolare or qua. or là per tutta l’orchestra, giacché da essi dipende la movenza e l’andamento d’ogni buon’armonia: che non essendo a proposito qualunque stromento per produrre qualunque suono, bisognava studiar bene la natura di ciascuno per meglio combinarli fra loro e farli muovere a luogo e tempoche i subalterni dovevano essere intieramente subordinati al maestro, e posti in maniera, che potessero esser tulli insieme veduli, e veder aneli’ essi scambievolmente chi suona il clavicembalo: che bisognava avvezzar di buon’ora i sonatori alla giustezza del tempo e a regolar il loro movimento colla mossa generale degli altri, affinché f aggregato de’ suoni avesse quell’unità, senza cui non havvi senso o significato alcuno nella musica. Con tali massime gedebitrice nerali ordinarono gl’italiani l’orchestra, e fra gli altri i maestri napoletani, alla particolar avvedutezza de’quali era debitrice l’Italia della sua superiorità in cotai genere. Insigne parimenti divenne Galuppi, chiamato altrimenti il Buranello, celebre celebre non meno per questo merito che per lo studio posto nella espressione del costume musicale, intendendo io con siffatto vocabolo qualificare, come si conviene, col debito grado d intonazione e colla propria specie di canto, la natura e situazione altuale de personaggi che preminosi a rappresentare. Nè minor gloria s’acquistò È immortale Jommelli, il quale in siffatto pregio come nella felicità di e’ suoi voli mu© ta siculi che lo rendono, a cosi dire, il Cliiabrera e 1 Orazio de1 compositori, nell"accoppiar la espressione al difficile, nella fecondità e nel brio de* suoi concetti fu veramente originale. Ma da nino altro si potrà meglio imparare l’arte difficilissima di combinar gli stromenli quanto dal rinomatissimo Hasse ovvero sia il Sassone educato e perfezionato nella musica in Italia sotto gl insegnamenti di Alessandro Scarlatti, il (piale maneggiò da filosofo e da uomo di genio la musica. Vegga si fra le carte del Dizionario di Rousseau la pittura dell’orchestra di Dresda regolata da lui per molti anni, dove s’imparerà più con un’occhiata sola, che colla più minuta descrizione che da me potesse farsi. Ma ninna cosa contribuì tanto a render chiara la musica italiana in quest fipoca quanto 1 eccellenza e la copia de’ cantori che fiorirono di quà dei monti. In fatti come sarebbe possibile, anzi a che gioverebbe la perfezione delle altre parti costitutive della musica, se quella, cui tutte debbono riferirsi, e dalla quale ognuna principalmente dipende, restasse abbandonata alla ignoranza e al pessimo gusto? L’arte del maestro e del sonatore altro non è in fine che un linguaggio imperfetto, col quale non s’arriva a esprimere se non troppo rimotamente ciò che si vuole. laddove il canto è la più compita e più interessante imitazione che le belle arti possono proporsi per fine. La più compita, poiché imitando immediatamente i tuoni della umana favella, gli elementi stessi, onde si forma l’oggetto rappresentato, servono ad essa di mezzi a ben rappresentarlo. La più interessante, poiché egli è certo che fra tutte le imitazioni possibili la più gradita al cuor dell uomo sarà in ogni tempo quella della propria sensibilità e delle proprie affezioni. La pittura e la scultura si fermano imitando, a così dire, sulla scorza dell’uomo^ il canto penetra fin nell’anima, l’avverte nella sua esistenza. risveglia la sua attività, e dipinge le sue modificazioni più intime. Quelle sono come il Pimmalione della favola allorché ritrae dal marmo la statua di G-alatea^ questo è simile al nume propizio che animò quella statua medesima, e che vi sottopose dell1 artefice innamorato i soavi ondeggiamenti, i palpiti successivi, i tremoli sguardi, i sospiri seducenti, i sorrisi ingenui e le incantatrici parole, indizj di vita trasfusa all’improvviso in quella pietra infeconda, e delizioso alimento alle speranze dell1 amante. Però nella mossa generale del buon gusto musicale in Italia 1 arte del canto dovette spogliarsi, e se ne spogliò in fatti del cattivo metodo antico, e contribuì a rinforzar vie più P espressione, non già facendo strazio della poesia come nel secolo passato, nè aggirandosi intorno a1 vani arzigogogli come a1 tempi nostri, ma ponendo ogni suo studio nell imitar l’accento naturale delle passioni, nell acquistar una perfetta intuonazione. che è il cardine d ogni melodia, nell imparar la maniera di cavare, modulare e fermare la voce a dovere, nell’eseguir maestrevolmente i passaggi di nota in nota colla debita gradazione, acciocché tutte quante spicchino le diverse inflessioni del sentimento, nell’appoggiar a tempo e luogo, trattenendosi, ove il richieda l’espressimi del dolore o della tristezza, scorrendo poi leggermente sugli altri che generati vengono da effetti contrarj, nel preferir il naturale al difficile, e lo stile del cuore a quello di bravura, nel far uso di quelli abbellimenti soltanto che necessarj sono alla vaghezza e brio della voce, senz’adoo - ~O alia espressione, nell* attemperar l’agilità naturale di essa voce non già all’arbitrio di chi la possiede, fecondo per lo più di capricci, ma all’indole della natura e della perarli tuttavia con prodigalità nocevole passione, nell’accomodar la prosodia della lingua coll accento musicale in maniera, che vi si distingua nettamente ogni parola, se ne comprenda il sentimento e la l’orza, e si ravvisi il quantitativo valor delle sillabe, nell accompagnar col gesto appropriato e convenevole i movimenti del canto e il carattere de1 personaggi, in una parola nel portar, d più lontano che sia possibile, 1 interesse. I illusione e il diletto, grandi fonti della teatrale magia. Secondo lo spirito del! esposto sistema s’aprirono nelle pili cospicue città utilissime scuole intente a promuover quell’arte incantatrice e ripolirla. Modena ebbe quella di Francesco Peli, come Genova quella di Giovanni Puita, l’Orfeo e il Ballilo della Liguria. Venezia, oltre gli oralorj destinati con gran vantaggio della musica alla educazione dei cantanti, ebbe il Gasparini e il Lotti per capiscuola. Roma, dove la parlicolar esecuzione della musica sacra avea da lungo tempo introdotta la necessità degli studi e de1 maestri, fioriva ale di Giuseppe Amadori, i (piali imiti con esempio non troppo comune ai letterati in fratellevole amicizia cogli altri uomini, valenti nell arte del suono e della composizione, comunicavansi a vicenda i lor sentimenti, e le osservazioni loro al comune giudizio esponevano, onde poi copiosi lumi ritraeva ciascheduno per correggere i proprj difetti. per migliorare il piano di educazione musicale, e per dilatare i confini deli arte. Serve d’argomento a provar la diligenza di questi eccellenti maestri il costume che avevano, siccome riferisce il Buontempi, illustre allievo della scuola romana, di condurre a passeggio i loro discepoli fuori delle mura di Roma, colà dove si ritrova un sasso famoso per l’eco, che ripete più volle le stesse parole. Ivi a imitazion di Demostene, di cui si dice che andasse ogni giorno al lido del mare alfine di emendare la balbuzie della sua lingua col suono de’ ripercossi flutti, gli esercitavano facendoli cantare dirimpetto al sasso, il quale replicando distintamente le modulazioni, li ammoniva con evidenza de1 loro difetti, e li disponeva a correggersi più facilmente. Fu celebre maestro in Milano Francesco Brivio, e Francesco Redi in Firenze, che non dee confondersi coll altro Redi parimenti Francesco, che tanti vantaggi lia recato alla sua lingua, alla poesia ed alla fisica. Ma gli emporj più illustri del canto sul fine del seicento furono Napoli e Bologna. La prima cotanto rinomala ne’ fasti della moderna musica ebbe una folla di maestri e di scuole, che lungo sarebbe il voler partitamene noverare. Le più insigni furono quelle di Leonardo Leo, di Domenico Egizio, di Francesco Feo. di Alessandro Scarlatti e di Nicolò Porpora: dai quali uomini valentissimi, non meno nella pratica dell’arte loro che nel metodo d’insegnarla, sortirono poscia quo tanti discepoli. che (piali novelli prodigi di melodia, si fecero ammirare da tutta Europa. Non essendomi permesso il nominarli tutti mi restringerò a due soli, che successivamente riempirono di stupore e di maraviglia i teatri. 11 primo fu Baldassare Ferri Perugino, creato poi cavaliere, che imparò