Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1844.djvu/194

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- 490 più d un’occasione si riproduce nel dramma questo difetto dell’azione rallentata dai pleonasmi del! istrumentazionc. Al buon effetto drammatico vedrà poi come giovi la buona applicazione dei movimenti ossiano tempi musicali, i quali, avendo un carattere eminentemente proprio a dipingere e significare le passioni, non possono che tornare di grandissimo vantaggio a chi li sappia ben adoperare. Un andamento più animato e risoluto avrebbe, per altro esempio, servito moltissimo all espressione di quelle parole: No, non è vero... pcr sempre è mio! La terra il vuole, il vuole Iddio, dell’atto primo, quando Faivaldo le annuncia le nozze di Re Curio colla sveva lldegdrde. È chiaro che una simile novella non poteva essere ascoltata che colla massima concitazione; perciò molto conforme allo stato dell’animo d Ermerigarda sarebbe riescilo un movimento più agitato. Cosi altri tratti. Non opportunamente collocala sembrami la second aria di Desiderio, che sul libretto ritorna alla scena ottava. ma che effettivamente ritorna appena dopo due scene per l’avvenuta soppressione de stralci virgolali. Due arie per il medesimo cantante, I una quasi dopo Paîtra, non possono che generare monotonia, e quindi sazietà negli ascoltatori. Un semplice recitativo, in luogo della seconda, avrebbe bastato all* ordine degli avvenimenti-, e perchè il maestro deve sempre aver l’occhio al buon effetto del suo lavoro, avrebbe egli dovuto guidare il poeta acciocché i pezzi fossero sapientemente distribuiti. Così egualmente avrebbe egli dovuto guidarlo al finire dell’atto primo, il quale, terminando con brevi parole quasi sempre ad emistichi alternate tra Faivaldo. Ermengarda, Desiderio ed il Coro, senza che alcuno faccia mai udire un’idea completa, tradisce la pubblica aspettazione usa a complesse melodie; tradisce lo scopo dell’arte, la quale prima di tutto deve cantare: tradisce finalmente le speranze del compositore, che, aspirando pure ad essere applaudito, vede terminar l’opera sua senza un accento d’incoraggiamento. Del pari non opportunamente collocali mi sembrano tutti quei semitoni sulle parole di Desiderio della scena nona: /I notte scura Della reggia fra. le mura, Moverem per via segreta Ermeugarda a liberar. E opportuno che il musico tenga calcolo di tulle quelle cose che hanno una tinta speciale per valersene a proposito nelle più convenevoli occasioni: i colori melodici poi non possono essere usati intempestivamente senza sovvertire e confondere la drammatica espressione. Ora. poiché le successioni semitonali valgono egregiamente ad esprimere le passioni del dolore, a queste conviene riserbarle perché producano il loro effetto. Bellini, che in fallo di modi espressivi bisogna nominare ad ogni tratto, faceva studio d approfittare di tutto. Perciò egli elevava la nota quando la declamazione puramente drammatica avrebbe elevata la voce, e 1 abbassava quando l’avrebbe depressa. Le flessioni delle sue melodie non salivano e discendevano per dar semplicemente piacere all’orecchio, ma per secondare più che fosse possibile il colore declamatorio. E il segreto da cui il proviene tutto P ineffabile sentimento del I suo canto. E vero che qualche maestro I di gran rinomanza non badò nemmeno a queste speculazioni, troppo riposte per essere di comune intelligenza ma è forse. per questo che molte musiche passarono di moda. altre sono rimaste. Così non trovo lodevole quel fare un intero canto sopra un solo distico, siccome fece nella scena prima quando il Coro canta Parle dal cielo il fulmine Che la sospinge al suol; ripetuti forse i quali due versi, se non m1 inganno, sono fi forse quattro volte. Togliere al la forza della parola è privarlo del cauto suo precipuo requisito: e siccome le parole ripetute dicono sempre la stessa cosa, dopo la prima ripetizione finiscono a non dire più nulla. Altre mende sarebbero a notarsi che tralascio per non infastidire il lettore. Una maggiore studiosità nel basso principale darebbe forse miglior colore e varietà alle sue armonie. Un po’ meno di romore sarebbe forse più proprio a far emergere il canto e a stancar meno chi ascolta. Ma queste son cose che il signor Sanelli intenderà da sè medesimo col progredire nel suo cammino. Egli, che ha ingegno, faccia intanto buon calcolo di ciò eh è piaciuto, e di ciò di’ è caduto: la critica non può che animarlo a proseguire. Non credo sia necessaria una particolare menzione dei cantanti, i quali hanno piuttosto bene sostenuta la parte loro: avrebbero figurato meglio se la musica fosse stala più naturalmente cantabile. Mi pare invece che possa essere più importante di parlare del poeta, e a quesli mi riserbo dedicare un venturo articolo. G. Vitali. SÜÏÆO STATO ATTUALE DELLA SCIENZA TEORICA DELLA MUSICA scienza musicale noi vofigliamo intendere una piena co2^ ignizione dei fatti a quella pergXQ’t^t luen ti - i quali con un ordine ’ ■: logico presentino alla intelligenza l’idea la più chiara e distinta di questa facoltà a cui si dà il nome di musica. E siccome nella analisi di questi fatti alcuna parie vi si riscontri in essi avvenuta per opera dell’arte, ed alcuna altra parte se ne intravegga superiore, preesistente e fuori dell’arte, ma che pur dell’arte è generatrice: così per necessità la scienza musicale salendo a maggiori sviluppamene dovè dividersi in due rami, abbracciando l’uno ciò che concerne soltanto la pratica, e per cui di scienza pratica prese nome, mentre all’altro comprendente la parte superiore e regolatrice occulta della pratica, diedesi il titolo di scienza teorica. Egli è. di quest’ultimo ramo che ora è mio intendimento di parlare; ed acciocché meglio mi sia dato il giungere a presentare al lettore lo stato attuale di quello, brevemente pei sommi capi andrò toccando l’andamento {storico di questa scienza teorica, partendomi da quel punto in cui a più certe notizie sembra poterci affidare. Che la musica sia una innata facoltà dell’uomo egli è ormai un fatto incontestabile: ma se questa naturai facoltà fosse ridolta ad arte, se la seguisse un determinato sistema e si innalzasse al grado di scienza presso gli Egizi, gli Ebrei e le altre antiche nazioni incivilite, noi noi sappiamo. Sappiamo soltanto che in grande estimazione la si tenne in quegli antichi tempi, e che dai popoli della Grecia fu o reputata la musica arte maravigliosa e divina. E che per reiterati esperimenti quella nazione pervenne a stabilire alcune leggi o sistemi da seguirsi in quest’arte figlia primogenita dell’istinto, i quali al grado di scienza furono in parte innalzati. Secondo che ne dice Nicomaco, fra i più antichi scrittori il solo che di ciò parli, sembra che la scienza teorica avesse incominciamento per opera del filosofo Pitagora. Ora, ciò posto, noi vediamo che ben tardi I’ arte musicale in confronto della sua remota antichità pervenne al grado di scienza. La quale scienza, abbenchè in sul principio più oltre non si estendesse di un semplice calcolo numerico da presentare all intelletto quelle tali proporzioni che si riscontrano tra vari suoni che recan piacevole sensazione all udito, pur non ostante grande importanza attribuir le si volle e da Pitagora e dai suoi seguaci. Poiché non più la causa primitiva della musica vollero essi ammettere nell umano istinto, ma sibbene la riposero nelle più semplici ragioni dei numeri, considerando questi come l’unica cagione immediata della consonanza e dell’armonia; e di qui si condussero a stabilire che in quest1 arte la ragione prevaler dovesse al senso, che di leggeri può andar soggetto ad errare. La pitagorica armonia dei numeri fu un1 idea molto vagheggiata da Platone, che come simbolo forse ei volle adoperare nelle sue filosofiche astrazioni onde spiegare l’armonia dei cieli, degli elementi, dell’anima e cose simili. Nè le massime pitagoriche in generale incontrarono palesi oppugnatori prima di Arislosseno, il quale, come discepolo di Aristotile, movendo dai sensi ogni sua filosofica ricerca, sostenne a favore dei pratici, che nei giudizi musicali il senso alla ragione prevaler dovea, perchè quest’arte per sua natura parla a! cuore ed alla immaginazione per la via dei sensi, e non alla mente ed all’intelletto per mezzo dei calcoli. Da queste contrarie opinioni, che ambedue ebber seguaci. la scienza teorica della musica fin quasi dal suo nascere si divise in due sette, seguendo l una lo spiritualismo, l’altra il sensualismo. E fu soltanto.dopo cinque secoli in circa, cioè nel secondo dell’era nostra cristiana, che Claudio Tolomeo pervenne in qualche modo a conciliare i due opposti partiti, fissando per massima che nell arte musica a formare un retto giudizio dovea egualmente concorrere il senso e la ragione, essendo questi propriamente i naturali strumenti dell’armonica facoltà. Per tale innovazione egli venne considerato come il fondatore di una nuova dottrina musicale a cui si diè il nome di tolemaica. che lunghissima vita ebbe, essendo stata definitivamente abbandonala non prima della seconda metà dello scorso secolo XVIII. Cagione di sì lungo regno della dottrina tolemaica fu la separazione in cui si mantenne la scienza teorica o speculativa dall’arte pratica, la quale trascinata da nuovo incivilimento percorrea la via del progresso, senza curarsi della scienza che ausiliaria gli polca da clic rimanessi Ma sul cadere del XVI secolo Galileo richiamava 1 attenpiu esser non in uno stato stazionario