Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1847.djvu/15

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troppa importanza che il signor Pillet, impresario di quel teatro, e con esso una grandissima parte del giornalismo parigino, ha voluto dare a questa partizione, predicando da un lato che nell’opera aveanvi (pialtro, sei pezzi nuovi, da un altro che ve ne avevan dicci, da un altro ancora che quasi lutto lo sparlilo era nuovo da capo a fondo. Che doveva seguirne? Dovea seguirne, che i Francesi (che cento volte più che noi hanno facilità di bersi in buona fede le corbellerie del giornalismo) saranno andati all’O^éra a sentirvi Robert Bruce, coll idea di udirvi una musica nuora di Rossini: figuratevi dunque con (pianta aspettazione! non ne sentirono invece che di vecchia e conosciutissima, e che avevano udito cantare per lo addietro, certamente assai meglio, al teatro italiano: - ed ecco 1‘ illusione perduta; - ecco un raffreddamento, assai scusabile., assai naturale, ne plausi. Ma, una volta che ogni idea sia rettificata, una volta che il Pubblico siasi rassegnato, che s’abbia formata l’abitudine della imperfetta esecuzione (che anche al male si si abitua, e al di là dei monti assai più presto che (pia) niente di più facile che Robert Bruce non desti (pici completo entusiasmo che hanno destato prima di lui quegli altri nobili ■pasticci, che appollaiisi l’Assedio di Corinto ed il Conte Ory. Il torto fu adunque nel proclamare nuova un’opera che di nuovo non racchiudeva una sola battuta. La Redazione. MANOSCRITTO DSLL’ORG AUTISTA IBM MM» «Ricordi per servire ad (in esame critico delle regole del Contrappunto e della Fuja (Continuazione. Vedi Anno V, xV. 48, 49 c 52; e dnno VI, N. I). Sulla fuga sciolta. Circa la metà del secolo XV! trovandosi già create c sviluppale le forme del contrappunto, gli Italiani incominciarono pei primi a riguardar la musica come una bell’arte, e perciò conobbero la necessità di indirizzarla al suo scopo tinaie, cioè alla espressione di (pici sentimenti che sono di suo dominio. Xè ciò polendo ottenere senza usar maniere più semplici e più libere di quelle usale dai loro predecessori, infra le altre cose dicronsi a tesser fughe senza assoggettarsi al rigore delle regole in prima seguite, e così pervennero a costituir due melodi diversi in questo genere di produzioni, le (piali si distinsero, le antiche col nome di /’agile legate o canoni, le altre col nome di fughe sciolte. - La fuga sciolta, che nel suo fondo è la stessa di quella che si conserva oggidì, differisce dal canone in (pianto che i conseguenti non seguitai! costantemente la melodia della guida, ma sibbene la lasciano e la riprendono a piacimento, tullavolta che al compositore appaia necessario per produr qiieH’cfletlo che ei desidera. Da ciò si comprende clic in tale operazione può concorrere insieme con la scienza il talento ed il gemo del compositore, a tal che al grado in che ella è oggi, che che ne dicano i contrari, la fuga possiede tulli i mezzi per essere un prodotto dell’arte e del genio ad un tempo istesso. I sommi artisti che vissero nei secoli I! e XVIII con tanto ardore e tanto talento coltivarono la fuga, che la ridussero ai suoi maggiori sviluppamenti, e l’arricchirono di molti nuovi ed ingegnosi artilicii. hi abbenchè innumerabili possano essere le forme speciali di una fuga, puro, per unanime sentimento di tutte le scuole, non vico considerata oggi come vera fuga quella composizione ove non si riscontrino effettuale tulle, o parie almeno, delle seguenti condizioni, cioè «clic si proponga e risponda nc» gli stessi intervalli, sillabe, e figure: che si stia nelle» corde proprie del tono: che si faccia il rivolto: che si «moduli in diversi Ioni, ma sempre relativi al tono prin»cipale: che si faccia lo stretto, ecc.» Questo è (pianto ne dice intorno a ciò il P. Paolucci dietro I autorità di Zarlino, dell rlusi, di Aron, Bononcini, Tevo, Tigrini, lux, ecc., (vedasi Paolucci, Xrte pratica del contrappunto loin. I, pag. 128, nota (d) ). Sulla proposta, o come più generalmente suol dirsi, soggetto della fuga. I 1 i I I La proposta o soggetto della fuga si e propriamente quella melodia che serve per tema o motivo principale, su cui aggirasi tulio intiero un lai componimento. Dalla maggiore o minor bellezza del soggetto, siccome ne avverte il P. Martini, può dipendere, non vi ha dubbio, la maggiore o minor bellezza della fuga; ma tullavolta il talento e I ingegno di un compositore di genio sa trovar maniera di render piacevoli ed interessanti anco quei soggetti che al primo aspetto potino sembrare insignificanti ed insulsi. Haydn ce ne, porge dei magnifici esempi. - Circa la forma del suggello nienti’ di assoluto può stabilirsi, se trario desumo i ineriti miei dalle opere mie proprie, rispetto alle, quali trovo essere ben poco e lieve tutto quanto mi avete, o compare, accennato de’fatti vostri; di modo che sarei per consigliarvi di un’altra volta non colleppolarvi tanto con quest’aria di superiorità in faccia a persone da voi non per anco ben conosciute: c se mai vi prendesse vaghezza di sapere chi son io, siavi nolo essere io colui il (piale ha innalzato la piramide di Psarami re d’Egitto, che ha sovvertito il Mar rosso addosso le falangi di Faraone ai tempi dell’antico Mose; e ultimamente ho dato la mina al palazzo del Pascià di Janina ove Favaraccio ammucchiava i suoi immensi tesori. Io ho edificato palazzi e città, ho lanciato in mare più di cento vascelli, ho scalzato dalle fondamenta fortezze inespugnabili, diroccate marmoree montagne, poi seppi restituirle nell’essere primiero; insomma ho sbalordito il mondo, esterrefatta la gente. E con tutto questo mi rimango costi, come voi vedete, quieto e pacifico, trincando il mio bicchiere senza darmi alcuna boria; esempio non contennendo di filosofica saviezza»! «In fede mia, esclamò allora il terzo compagno beffandosi degli altri due, sono cose mirifiche queste che voi mi dite e (piasi incredibili; c non per tanto, io le ho per vere, giacche, villano qual io sono, e quale a voi mi dimostrano quest’incolta capigliatura, questa guarnacca e questi zoccoli, opero io pure dei prodigi non minori de’ vostri, e, perfettamente in ciò consentaneo al sistema del collega nostro, fuggo gli onori anch’io, mi tolgo allo strepito del gran mondo, c vivo imbucato nell’umile tugurio che mi sono eletto, lo, per esempio, predico, senza tema d’inganno, i giorni lieti c quelli del pianto, l’allegria delle nozze e la tristezza della bara; io apro I aurora e dò confine al giorno; che più! a un sol mio cenno tutto mi popolo si leva a rumore c lo spavento è per tutto! nè ciò mi basta; giacché, imponendo legge agli elementi, io sgombro «anco i nembi e le procelle che minacciano i campi, e ridono la calma e la speranza al pallido coltivatore». Un placido vecchietto che si stava aggiustando il cuore con un sorso di quel buono, ed avea prestato orecchio alle filastrocche de’tre parabolani, tutto trasecolato da (pianto udito avea, aggraffilo I oste di passaggio, pel bottone della giubba, c, tirandolo in disparte, gli domandò chi fossero (pie’ personaggi di sì allo affare. «Il primo è un suggeritore d’opera, l’ostier gli rispose; chi gli sta appresso è un marangone,’ macchinista del Teatro; ed il peggio calzalo è il campanaro della nostra villa». Gnaffe! esclamo allora il vecchietto dabbene, quanto rombazzo per niente!!