Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1872.djvu/112

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104 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO ’U’ •M hi u iif! Mi ih ■ I a iih Ma anche questa è una delle tante teoriche economiche bellissime sui libri, maltrattate ogni giorno senza riguardo dai zoppi sillogismi della pratica. Se sia un bene o un male non è il luogo di dire, ma tutti sanno che oramai uno spettacolo teatrale di prim’ordine richiede tal lusso di scene e di vestiarii, e che le voci dei cantanti sono così preziose, che è assolutamente impossibile sognare un lucro sul solo introito serale? Si ribatterà: «è appunto il sistema delle dotazioni che ha fatto le paghe favolose dei cantanti». Io non lo credo; penso piuttosto che questo rincarimento sia frutto della passione musicale che si è manifestata prodigiosamente in questi ultimi tempi presso nazioni assai pili ricche della nostra. Londra, Pietroburgo, Mosca, Nuova York e Madrid ei rubano i migliori artisti pagandoli a peso ei’ oro. È una fortuna per i cantanti e forse una disgrazia per l’arte, ma ciò non monta; il fatto è che se sulle nostre grandi scene vogliamo udire interpretate decorosamente le opere dei nostri grandi, ei conviene sfidare la concorrenza dell’estero e subire le tariffe che il mercato mondiale ha oggi fitto alle belle voci e all’intelligenza dei cantanti. Lo possono i nostri impresari senza le dotazioni? Evidentemente no. E ora meno di prima. In conclusione il voto che assicura al teatro dell’Opéra di Parigi 840,000 lire di sovvenzione posto a confronto col voto che toglie le 40,000 lire al teatro Comunale di Bologna, significa che Parigi nella ventura stagione avrà spettacoli stupendi, e i migliori cantanti, e che i Bolognesi non avranno spettacolo di sorta. Fate che la Scala non possa disporre della sua solita dote e vedrete che aneli’essa, la gloria veneranda, non troverà un cencio d’impresario che la voglia condurre a nozze. Io lascio da parte la quistione artistica, e domando: «sarà un danno?» Interrogatene le centinaia di coristi, di comparse, di macchinisti, di cucitrici, ecc. alle quali dà pane lo spettacolo della Scala. Provino gli abolizionisti a profondere i tesori della loro eloquenza per convincere tutta questa povera -gente che il Municipio si è fatto scrupolo di «spendere il denaro del povero pel divertimento dei ricchi». Oh! le atroci ironie che balbettano questi economisti d’ieri! Io voglio per un istante ammettere un assurdo, cioè che la massima parte delF erario d’un comune possa battezzarsi sentimentalmente il denaro del povero, e aggiungere a questa un’altra ipotesi non meno assurda, cioè che la massima parte dei frequentatori della platea e del loggione del teatro alla Scala sieno ricchi annojati che si divertono col denaro del povero, e domando se al bottegaio, all’artista, all’operaio, non torni qualche profitto dalle migliaia di forestieri che vanno e vengono e si arrestano in Milano durante una stagione teatrale, e se infine dei conti non si trovi per avventura che sia più quel che entri nelle tasche del povero di quel che venga sottratto per preparare i divertimenti del ricco. A questa domanda è facile rispondere colle statistiche, nè io ho agio a raccogliere i dati, nè avendone T agio mi crederei obbligato a farlo, ma certo dovranno farsene uno scrupoloso dovere quei sentimentalisti incorreggibili che difendono lo scrigno del povero, e in generale tutti coloro che con una parola o con un votopossono contribuire alla rovina del nostro avvenire musicale. E poi qual maniera di argomentare è questa di gonfiare le gote con una parola, con una frase senza significato? Che cosa s’intende per denaro del povero ì di qual povero si parla? Di qual denaro? Forse chericchi e poveri pagano al comune un testatico della stessa misura perchè sia giustificato questo scrupolo? Per poco che si fosse dato mente a simili piagnistei non si sarebbe dovuta costruirne la galleria perchè evidentemente i ricchi e gli sfaccendati possono goderla più del povero e dell’operaio, nè teatri, nè vie, nè musei, nè statue perchè il povero quando ha una fetta di polenta e un mezzo litro trova bella la vita anche senza i musei, senza le vie larghe, senza le statue, equando invece non ha di che cavarsi la sete non attinge un conforto assai efficace nell’idea che i padri della patria gli hanno messo sotto gli occhi delle statue, gli hanno aperto dei musei ed allargato le vie. Oh! le miserie della logica! La casa di Rossini, che trovasi a Passy. via delle Pompe, e che durante l’ultimo assedio era stata colpita da sessanta e più bombe, al punto da essere quasi completamente demolita, comincia ora a risorgere dalle sue rovine. La signora Rossini sorveglia essa stessa i lavori di restauro,, per i quali si dovranno spendere non meno di 100 mila franchi. Nella camera dove è morto Rossini si trovarono più di cinquanta scheggio dì proiettili d’ogni dimensione ed una bomba carica.

La camera musicale nel palazzo a Potsdam trovasi ancora, nello stato in cui era al tempo del gran re e flautista. Il leggio, i pezzi di musica che Federico suonò e si fece suonare per quaranta anni, i flauti di cui si servì - tutto trovasi precisamente oggi come allora. Ogni cosa giace come se il reale concertista fosse appena uscito, dopo aver eseguito un assolo di Quanz od un adagio di propria composizione. - Federico era più che dilettante - era un vero concertista sul suo istrumento, e, per quel tempo, uno dei più valenti. I suoi compositori favoriti erano Granii e Hasse; Handel e Sebastiano J3ach gli erano meno cari. Il figlio di quest’ultimo. Filippo Emanuele, fu per lunghi anni pianista alla Corte di Federico. - Del resto, il gusto del re per la musica, come per la poesia, era parziale. Per quaranta anni furono sempre ripetuti i medesimi concerti: al teatro di Corte non si permettevano che opere di Grami ed Hasse o degli italiani di quel tempo. Sebastiano Bach parlando del gusto e dell’ingegno del re, disse: «Il re di Prussia non ama della musica altro che il flauto - e dei flauti non ama che il suo! > Un compositore di merito, il. sig. Emanuele Liebich da Berlino, è inventore d’un sistema di pedale che, applicato al pianoforte, ne modifica il suono in maniera da fargli imitare quello dell’arpa. L’illusione è perfetta; il meccanismo è adattabile a qualunque pianoforte. Così nei piccoli teatri un pianoforte potrà supplire un’arpa e un pianista un’arpista, senza contare che molti pezzi difficili o impossibili per arpa potranno essere eseguiti collo stesso effetto. Giova ricordare- che a Parigi nell’esposizione del 1867 si vide un’arpa a tastiera; invenzione meno semplice ma in parte diretta allo stesso- scopo di questa.