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132 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO e cita la parola della mia prima lettera sul Manfredo: «Il Petrella, il Luca fa presto, ecc.» per muovermi una dimanda. Che risponderò io all’Omnibus che vuol quasi saper qual sia la mia opinione su Donizetti che scriveva tre opere in un anno e per più anni? Eccomi. Prima d’ogni altro il direttore dell’Omnibus lesse sbadamente il mio articolo, altrimenti non si sarebbe meravigliato se per poco soltanto occupai le provinole del critico. Lo feci e dissi di farlo a bello studio per dar così un’idea generale del nuovo lavoro per mostrare che il buon successo non era un pregiudizio, ma in buona parte meritato. In quanto al citare il Donizetti non cade per niente a proposito. Donizetti non solamente scrisse, come dice VOmnibus in un anno due o tre opere, ma quattro e più pure talvolta; nel 1822 dettava a Poma Zoraide di Granata, a Napoli la Zingara, la Lettera anonima e a Milano [i Pirati o Chiara e Serafica’, l’anno appresso scriveva per Napoli II fortunato inganno, Aristea e Alfredo il grande’, per Venezia: Una follia. Due opere scrisse nel 1824: L’aio nell’imbarazzo e Emilia o Veremitaggio di Liverpool; tre nel 1826 Alahor in Granata, Il castello degli invalidi e Elvida, quattro nel 1828 e ben sette nel 1829, cioè: Olivo e Pasquale, Le convenienze teatrali, Otto mesi in due ore, L’esule di Roma, La Regina di Golconda, Gianni di Calais, Giovedì grasso, il Paria, Ipazzi per progetto, Francesca di Foia, Zuelda di Lambertazzi, la Romanziera. Ma di tutti questi spartiti, se ne eccettuiamo VEsule di Roma che ha importanza nella storia dell’arte, perchè lavoro risplendente di bellezze di prim’ordine, non che il Diluvio universale oratorio drammatico, che è forse la più vasta composizione musicale di Donizetti e che gli fornì i migliori brani per le opere posteriori (1J, qual altra merita importanza? E poi il Donizetti nato nel 1798 contava nel 1829 solamente 31 anni, e molti travagli facilmente duransi in gioventù. E anche senza tutto ciò il confronto non regge punto, che V Omnibus meglio degli altri conosce che il Petrella fino a poco tempo fa cominciava a scrivere quindici giorni prima di dover consegnare la musica, si provava a pianoforte il primo atto ed egli scriveva il secondo, alla prima prova d’orchestra compiva il resto. Or così facendo dovea di necessità abborracciare e metter fuori lavori pregevoli è vero per il lato inventivo, che nessuno potrà mai negare al Petrella il fervore dell’estro, ma dove le leggi scientifiche più ovvie sono il più delle volte violate come non farebbe un principiante. Ed io intesi dire appunto che il Petrella è il Luca Giordano della musica per la fretta e la spensieratezza messa nello scrivere le sue musiche, non già pel gran numero di opere messe fuori in breve tempo. Successo felicissimo ebbe la nuova opera dell’Avolio Rosetta la giardiniera. Vi basti questo per oggi.

  • ^CUTO.

Salerno, 7 aprile. Se interrogaste i Salernitani uno per uno scommetterei che dei 29,000 abitanti, 29,800 vi direbbero che il Teatro è stato una spesa superflua, e che il Municipio prima di sobbarcarsi a spendere la rispettabile somma di un milione e mezzo e fors’anco di più dovea porre mente ch’ei bisognava fare il porto e tante e tante altre cose più necessarie. Ma il sindaco Luciani, uomo di volontà ferrea, s’era posto in mente di far costruire un teatro, e questo sorse bello, splendido, tale da far onore a qualunque cospicua città. E collocato il nuovo edificio nel punto più bello del paese su la marina, e di fuori vi dà una bellissima idea. Dal portico per tre porte si penetra nel teatro; il peristilio è spazioso, ma sonvi profusi troppi ornamenti; mi pare, osservandone l’architettura, il portico d’una basilica; poi quel Pergolesi, statua dell’Amendola, mi rattrista. Lo scultore rappresentò T immortale autore (1) Per tacer d’altro il pezzo più favorito della Betly non è che l’aria del basso nel Diluvio con altre parole ed il movimento accelerato. dello Stabat in fin di vita, ma ognuno nel vedere quell’uomo scarno, allibito, prova una sinistra impressione. Conosceva questo lavoro perchè già esposto in Napoli, ma vi dico con tutta franchezza non mi pare quello il luogo. tanto più che il teatro addimandasi Municipale e non teatro Pergolesi. Una sottoscrizione è pertanto aperta affinchè la statua dall’autore donata al Municipio possa esser condotta in marmo; e spero allora possa dal nome del grande maestro intitolarsi il teatro. La sala del teatro è spaziosa molto, ma la platea offre pochi posti e poche fila, undici in tutto, per un male inteso gusto di fare due corridori laterali ed uno in mezzo. Vi ha quattro ordini di palchi, oltre il paradiso, come gli spaglinoli chiamano le gallerie, ed ogni ordine, meno il primo, conta diciassette palchetti. In questo novero non vanno compresi i due palchi sul proscenio tanto nel primo quanto nel secondo ordine. E questi palchetti sono comodissimi, ognuno di essi ha uno spogliatoio, ed ogni ordine di palchi un foyer messo alla pompeiana. La ricchezza di decorazioni, il gusto e lo sfoggio di arte fanno bello questo teatro; di molto effetto è la soffitta: li v’è effigiato il Rossini circondato da tutte le muse che rappresentano le diverse sue produzioni, ed il De Criscito, che ne è stato il pittore, può esser contento dell’opera sua. Di Gaetano d’Agostino da Salerno sono le decorazioni, abbondanti di ricchezze, di fantasia e di buon gusto: questo egregio» artista lavorò pure il comodino; è un ricamo con in mezzo tutto le maschere italiane. Il migliore lavoro è il sipario dipinto dal Morelli; raffigura un vecchio arazzo in mezzo al quale il soggetto è rappresentato in otto quadri rappresentanti la cacciata dei Saraceni da Salerno in sul principiare del secolo ottavo. Il lavoro del Morelli è nuovo nel suo genere. Esso è il prodotto di questa inchiesta fatto dall’artista a sè stesso: Deve il sipario esser qualcosaltro della scena o pure no? Rispose il Morelli facendo un quadro bellissimo e che mirabilmente accordasi con tutto il resto. Alla splendidezza del teatro, alla ricchezza delle decorazioni fa brutto contrasto la meschinità degli spettacoli; artisti men che mediocri, orchestra composta di pochi violini ed insufficienti, di molti strumenti d’ottone e discreti; mancano i fagotti e l’arpa. Udii prima il Rigoletto eseguito dalla Guadagnili!, dal tenore Jaulain, dal baritono Morghen, dal basso Contedini e dal contralto Basso-Bensici; poi la Linda. Meno il basso ed il contralto stiamo male a mezzi; il tenore non godette per due o tre sere molto favore e preferì d’andare via; ora è scritturato un altro, il Franco. La Linda mi’piacque di più; la Rovilli Nora ha bella voce, figura simpatica e molta disposizione pel bel canto: fa ben impromettere di sè. Poca voce ha il tenore De Sanctis, ma è aggradevole; voce buonina, ma poca arte ha il baritono Pezone, discretamente tutti gli altri, il basso Contedini, cioè, il buffo Albini, e la Basso-Bensici. Apparecchiano ora il Conte Ory,.ed è svanita l’idea di far rappresentare le Educande di Sorrento ed i Promessi Sposi. Si farà la Saffo con la Guadagnini, il Franco, Morghen e la Basso-Bensici, poi i Normanni a Salerno, musica espressamente scritta dal maestro Marzano, il quale, pel suo meglio, potrebbe chiedere al Municipio che si riformino i cori e T orchestra. V’è molta probabilità che io ritorni qua allorché rappresenterassi questa musica, perciò assumo il compito di darvene i ragguagli. ^Vcuto. Venezia, 18 aprile. Da quanto mi viene assicurato gli impresari Lasina e Marzi presentarono alla presidenza della Fenice due nuovi progetti (l’uno dall’altro poco diverso) pel nostro principale teatro. La base di questi nuovi progetti sarebbe giusta. Si tratterebbe di portare nel campo dei fatti l’idea, che da gran tempo si va cantando, e da me e da cento altri, su tutti i toni, cioè di aprire il teatro due volte l’anno, in estate con spettacolo d’o