Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1872.djvu/145

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Col prossimo numero daremo ai signori Associati le Tavole X e XI dell9Album di Autografi. Avvertiamo inoltre che è quasi ultimata la stampa della Cronologia dei RR. Teatri di Cambiasi, e del Piccolo Romanziere di JPan&acchi, i quali verranno spediti nel prossimo mese a quegli Associati che ne fecero richiesi a come premj. ANCORA DELLE IDEE MUSICALI DI GIUSEPPE MAZZINI Lo zelo dell’egregio apostolo che detta le appendici musicali della Perseveranza mi riconduce su questo tema. Il dottor Filippo Filippi che non si lascia mai sfuggire l’occasione di fare un proselito al suo Maestro ha compito testé con molto successo la conversione d’un morto. Ad operare il miracolo non gli occorse gran cosa; lesse alcune pagine delle scritture del defunto, si fermò ad alcuni frammenti dove il pensiero non apparisce molto precisamente determinato, li riportò nelle colonne dell’appendice e giurò ai lettori che quelle scritture non sono altro che l’Apocalissi del Wagnerismo. Siccome ai morti non può venire in capo di protestare nemmeno contro Wagner, e siccome quel morto si chiama Mazzini, così mi credo in dovere di porre in chiaro alla mia volta, come qualmente per servirmi delle parole di Filippi «il grande italiano divinasse più di trent’anni fa le teoriche della nuova scuola del "Wagner al punto che il Wagner stesso oggi le sottoscriverebbe». Nel mio primo articolo sulle idee musicali di Mazzini, ho sfuggito per quanto mi fu possibile il sistema pericoloso di riportare a spizzico le parole di Mazzini, e non l’ho fatto che quando le cose premesse mi parevano avere determinato l’intendimento. Le citazioni non dovrebbero mai essere che illustraz’oni d’un pensiero, ma evidentemente non possono sostituirsi al pensiero, il quale nasce dal confronto di tutto lo scritto, di tutti gli scritti, di tutte le idee dello scrittore. Ora io domando all’egregio appendicista: qual’è l’intendimento di Mazzini? Crede egli in buona fede che colle parole musica sociale non si possa intendere altro se non musica di Vagner? È pronto ad asserire con una mano sul Vangelo, - e sia pure il Vangelo del suo Messia - che musica europea sia assolutamente sinonimo di musica dell’avvenire? E se egli è penetrato nel fondo dell’idea mazziniana, e vi ha visto ciò che io vi ho visto, cioè una musica che è pensiero ed azione insieme, che può muovere il mondo, consigliare gli uomini, fare la rivoluzione, fare la patria, fare l’umanità, e se egli ha battezzato tutto ciò utopia, come io stesso ho fatto, crede perciò di poter dire a quel morto: badate, ciò che voi avete domandato alla musica è un sogno, una chimera; per non spendere inutilmente la vostra profezia, accettate Wagner, ed io parlerò del vostro ingegno profetico e della vostra divinazione nella prossima appendice della Perseveranza? Vediamo. Mazzini disse chiaramente, (e le pagine più chiare non sono citate dall’egregio Filippi), che il dramma musicale dei suoi tempi (1836) doveva presto divenire un’anticaglia, che le formule del melodramma avrebbero ceduto alla unità della forma, che la musica doveva avere «un incremento alla propria potenza di tutte le potenze drammatiche accolte in imo spettacolo». «Ecco Wagner!» esclama con entusiasmo apostolico Filippi. — Ecco il melodramma moderno, dico io, patrimonio di tutti i compositori d’oggi e di ieri, non di Wagner solamente. Ecco Verdi, ecco Meyerbeer,eccoGounod,ecco Halevy! Mazzini dice che l’istrumentazione doveva aver maggior parte «a simboleggiare negli accompagnamenti intorno a ciascuno dei personaggi quel tumulto d’affetti, dMbitudini, d’istinti che oprano più sovente sull’anima sua.» L’accorto apostolo direbbe anche qui: ecco Wagner, ecco Lohengrin, ecco Tanhàuser e che so io, dimenticando che ciò fu fatto nel Ballo in maschera, nel Rigoletto, nel Faust, e in cento altri capilavori e perfino nel Don Giovanni, e nel Roberto il Diavolo, dei quali Mazzini dice espressamente: «che staranno come tipi di profonda individualità svolta con magistero perenne, insistente, non interrotto dalla prima all’ultima nota». E altrove dice che «nella prima scena del Roberto il Diavolo vi sono tocchi che per tinte locali ed evidenza storica dei tempi ricordano il capolavoro premesso da Schiller ai suoi Piccolomini o prima parte del Vallenstein.» E in Italia cita tra i presentimenti della musica futura alcune pagine della Semiramide del Guglielmo Teli, e del Marino Fallerò, e vede in Donizetti il rigeneratore in cui possa riposare con un po’ di fiducia l’animo stanco e nauseato del volgo d’imitatori. j iib HI