Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1872.djvu/237

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COSE ROMANE nuovo assalti, botte, sarcasmi e di si credere che alla letamerebbe risposto altriepigrammi, e ancora quello spietato sentiquella rettorica opprimente mentalismo. Si aveva qualche ragione tera dell’editore-proprietario I signori associati che non hanno ancora rinnovato l’abbonamento del secondo semestre, sono pregati di farlo senza indugio per evitare ritardi nella spedizione del giornale. Domandiamo scusa ai nostri lettori se li intratteniamo di cose che non li riguardano; ei siamo proprio tirati pei capelli dai paladini della stampa romana, i quali da qualche tempo non fanno altro che occuparsi moltissimo delle private faccende dell’editore Ricordi. Abbiamo segnalato altra volta il fatto di questo nuovo genere di crociata inaugurato nella capitale, ed abbiamo detto che il premere sopra l’animo d’un privato e volerlo indurre ad ogni costo a sagrifìcare le proprie opinioni e i proprii interessi sull’altare della così detta opinione pubblica, ei pare cosa assolutamente ri de vole. Ne giudichi il senno della gente spassionata. Si tratta dell’Aia, voluta dai Romani e negata dall’editore proprietario, il quale pensa che sia impossibile ottenere a Roma una buona esecuzione, e non sa indursi ad esporre l’ultimo capolavoro di Verdi ad un massacro. Inde irae. Tutti i cerberi della stampa romana si scagliarono contro l’Editore; convinti della propria missione, hanno fatto l’articolo, hanno fatto V entrefilet, il comunicato, l’epigramma, l’appendice, ed hanno provato fino all’evidenza che l’editore-proprietario Ricordi è un prepotente, un pagano, un vandalo, perchè si vale dei suoi diritti e non se ne dimentica in omaggio della città santa, e un poco anche della loro eloquenza. La quale, gira c rigira, si riduce poi sempre a questo argomento: la capitale diItalia non deve essere l’ultima a giudicare l’ultima opera di Verdi. In questi ultimi giorni la bella commedia ha ripreso l’andare con nuova veemenza, ma sempre colla stessa preziosa rettorica e collo stesso sentimentalismo ammirabile. L’occasione fu fornita da una lettera del 27 giugno scritta dalla Commissione Teatrale di Roma all’editore Ricordi. In quella lettera chiedeva ancora TAida, dichiarandosi disposta ad ogni richiesta, e invitando l’Editore a farle conoscere tutte le precise condizioni, ecc.... L’editore ebbe l’audacia di credere che questo ogni non potesse servire ad altro che a mostrare labuona volontà, rispose che non credeva possibile, che l’impresario Jacovacci potesse, a stagione cosi inoltrata, riunire un complesso d’artisti di cartello pel carnevale, nè provvedere le masse dei cori e d’orchestra necessarie, nè assicurare uno splendore di messa in iscena che non è nelle sue abitudini. Non l’avesse mai fatto; un giornale corre in Campidoglio e ottiene copia delle due lettere e le stampa; dieci altri giornali le riproducono lamentando il privilegio del primo, e di menti. In quella lettera si dubitava che Jacovacci potesse formare una compagnia di vero cartello (e se ne dubitava con qualche ragione in quanto la stessa Commissione ha protestato la compagnia scritturata finora da Jacovacci come di cartello) si aspettavano nomi, proposte, scritture; doveva esser facile dire: «avremo il celebre tenore X, e il celebre soprano Y, e il celebre baritono Z; avremo cori numerosi, orchestra idem; Jacovacci si metterà in rovina per il lusso della messa in scena.» Niente di tutto ciò: si pubblicano le lettere, si stampa Y ogni della lettera della Commissione a caratteri majuscoli, e poi da capo rettorica e sentimentalismo, sentimentalismo e rettorisa. «Ricordi è un pagano, Roma è la città santa; la Capitale d’Italia ha diritto...» e simiglianti facezie. Vi fu qualcuno che osservò che se Roma è divenuta la capitale d’Italia per volere della Nazione, non può pretendere di divenire d’un tratto ciò che non fu mai — un gran centro musicale. Che gli splendori scenici non s’improvvisano come le capitali politiche, che ei è una scuola da fare, che ei sono abitudini da spezzare, rottami da buttare nel mondezzaio, prima che sorga il nuovo, e che perciò l’argomento della capitale è nulla di meglio che un puerile luogo comune.