Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1872.djvu/279

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SALVATORE FARINA Si pubblica. OGNI DOMENICA Il 2.° fascicolo di Agosto della Rivista Minima sarà pubblicato il 25 corrente. BIBLIOGRAFIA La Legislazione e la Giurisprudenza dei teatri. Trattato dell’Aw. Carlo Rosmini, preceduto da un’introduzione Storica di Paolo Ferrari. Piccolo Romanziere di E. Panzacchi. La Musica come mezzo d’educazione. Discorso di Davide Parmigiani. Atti dell’Accademia dell’istituto musicale di Firenze. Anno Decimo. Cronologia degli spettacoli dei RR. teatri di Milano di P. Cambiasi. (Continuazione e fine). Il sig. Davide Parmigiani lesse non è molto in Parma, in occasione d’una distribuzione di premii, un discorsetto intorno alla Musica come mezzo d’educazione. L’argomento è vecchio come la musica stessa, la quale prima ancora d’educare sè stessa ha incominciato ad educare gli uomini; al signor Parmigiani non rimaneva adunque che ripetere ciò che fu detto da mille, e il suo merito è di aver adoperato un certo garbo e molta brevità per riuscire a questa conclusione di prammatica: che la musica è la regina delle arti. Non vi ha artista che ami l’arte sua, il quale in fondo al cuore non sia intenzionato di sederla in trono, nè oratore che si rispetti senza che si provi con due bravi sillogismi a rovesciare le dinastie, a benefìzio del proprio argomento. Per tacer d’altri, lo stesso Paolo Ferrari di cui fu fatta parola nel numero passato, prima di esporre la storia della drammatica, pone in sodo che quest’è l’arte per eccellenza ed è pittura, scultura e musica insieme. Ecco adunque un suddito ribelle che per opera di Paolo Ferrari si mette in corpo la regina di Davide Parmigiani. Si hanno mokissimi esempi di scandali siffatti, poiché l’illusione è universale e la buona fede sempre cieca ad un modo. Più di entrambe avrebbe ragione,, parmi, di pretendere lo scettro la Poesia, che è il primo latte intellettuale dell’umanità, che si atteggia a tutte le forme, che può dir tutto, e da per tutto, senza bisogno nè di palcoscenico, nè di attori che non studino la parte, nè di suggeritore che la rammenti, che vanta dai primordi gli Omeri, che è nata regina anzi che divenirla, eccetera. Ma ammettendo che i poeti siano cattivi avvocati della loro causa e dimentichino la replica a tempo, e che la questione sia tutta ridotta alla drammatica e alla musica io posso dar qualche ragione a Ferrari, ma non m’intendo punto coll’egregio signor Parmigiani. Un’arte che vuol essere educativa nello stretto senso della parola e che pretende di esser regina sulle sue sorelle deve anzitutto avere l’evidenza del linguaggio che alla musica non è concesso. Non basta commuovere e ispirare gentili sentimenti, il che fa la musica, ma conviene ribadirli e convincere, e questo non può fare. Per me penso che si andrebbe sempre d’accordo purché ei intendessimo una buona volta sulla forma di governo; non si tratta qui d’una monarchia assoluta ma d’una repubblica democratica; le arti non sono nè regine, nè ancelle, sono sacerdotesse alleate che cooperano all’ingentilimento e all’educazione dell’umanità per vie diverse, e se talora sembrano confondersi gli è perchè hanno comuni il punto di partenza - il bello - e la meta - il buono. Il R. Istituto Musicale di Firenze ha pubblicato in un volumento gli Atti dell’anno decimo. Una breve relazione del segretario Ciancili, circa i lavori accademici del 1871 è quasi interamente spesa a rammentare con meste parole otto morti: Alessio Lvoff, Giovanni Gordigiani, Giuseppe Busi, Luigi Gherardeschi, Francesco Giuseppe Fétis, Daniele Francesco Auber, Girolamo Barbieri e F ordinando Marcucci, tutti membri effettivi, corrispondenti od onorarli dell’accademia. A questa relazione tien dietro una Memoria sul Lohengrin di Wagner del cav. G. A. Biaggi. Il Biaggi dice molto bene di questo lavoro del compositore tedesco, ne loda le arditezze, e nega che l’autore sia da porre, come vogliono i detrattori ed i difensori ancor’più incorreggibili, fra i rivoluzionari! della musica; fruga nel passato e ritrova Wagner in Weber, in Monteverde e più nel Morlacchi; senza farsi apostolo dei suoi intendimenti melodrammatici, concede che la musica non debba prendere il posto del dramma, infine asserisce che Wagner è un genio. Intorno a tutto ciò siamo pienamente d’accordo; quanto agli intendimenti di Wagner resta ancora a vedere, se, oltre all’essere egli come compositore in contrasto con sè stesso come critico, (il che scema a parer mio valore alla sua religione) non rimanga aperta altrove al melodramma una via migliore di quella tracciata dal Lohengrin. Ma non è il momento di far simile discussione. In una cosa sola dissento per ora dall’egregio Biaggi ed è nella lode che egli vuol attribuita a Wagner per i suoi libretti, i quali anziché rispondere all’indole deWarte musicale mi pajono sfibrarla in una fantasmagoria inutile, in un sensualismo che non dice nulla, e la riducono all’ufficio d’una nenia carezzevole che accompagna la menzogna dei sonni. Codesta nuova arcadia che vanta