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282 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO musicali, da una perizia veramente magistrale nelle cose del canto e del contrappunto, da una vera e soda conoscenza della lingua latina e della liturgia, da una ricca e svariatissima cultura di mente; e di più da quel profondo sentimento di dolore e di mestizia che lasciò nell’animo suo la grande sventura che l’ha di recente colpito. Lo stile della nuova sua messa è largo e severo come conveniva al soggetto e come conveniva altresì alla vastità e alle sfavorevoli condizioni acustiche della chiesa di Santa Croce. Più che il contrappunto propriamente detto, fanno bello e pregevole quello stile, i frutti del contrappunto: la naturalezza con cui si muovono e cantano le parti, l’efficacia armonica, la sonorità maestosa e ben nutrita. Severità senza peso e senza monotonia: scorrevolezza di discorso melodico, senz’ombra di leggerezza mai: facilità in tutto, senza mai cadere nel comune; e questi pregi che sono in tutta la messa, sono pure nell’Offertorio che è una Fuga. La quale è. una de’ pochi modelli di quel diffìcilissimo temperamento di stile di che ha urgente bisogno la musica religiosa. Vogliam dire di quel temperamento che mandi insieme le forme rigorose del contrappunto, le quali provvedono a mettere in salvo il decoro della chiesa, e il linguaggio dell’arte che sappia cattivare i sensi degli uomini d’oggi e che sappia parlare al loro cuore e innalzare le loro menti. Oltre la bella Fuga àeïV Offertorio v’ha nella messa del cavaliere Casamorata: Y Introito, il Dies irae e segnatamente il Reæ tremendae majestatis, e v’ha Y Agnus Dei che, tutti, son pezzi singolarmente mirabili per bellezza di concetto e di condotta, per dottrina, per buona strumentazione e per convenienza liturgica. Un pregio quest’ultimo che nella musica religiosa moderna non si riscontra che ben di rado e pel quale il cavaliere Casamorata può esser preso come uno de’ più sicuri modelli. LJ. jA. BiAqqi. (Dalla Nazione) Nella raccolta delle leggi del Mecklenburg trovavasi un ordine antico, secondo il quale gli osti della campagna erano obbligati, in occasioni di nozze, di feste delle messi, ecc., di prendere almeno due valenti musicisti del corpo di musica del loro distretto, restando però in loro arbitrio di far suonare il basso da un giornaliero qualunque. Siccome questa legge con pertinace pietà non fu abrogata, è possibile che sia osservata anche oggidì. ¥ Il direttore teatrale Pokorny a Vienna doveva tutta la sua fortuna alla protezione della Corte, avendo egli studiato assiduamente le difficili arti del gatto fino a divenirne maestro. Un giorno che? arciduchessa Sofia gli disse parole lusinghiere sopra una rappresentazione della Vielka di Meyerbeer, lo spiritoso direttore le rispose tosto: «Mi stimo immensamente felice di sentire un elogio da una bocca così grande». Presso Satheby; Wilkinson e Hodge a Londra ebbe luogo la vendita all’incanto della collezione di manoscritti autografi di celebri maestri lasciata dal defunto pianista Thalberg. I prezzi più elevati furono per le partiture di Mozart. La bella Sonata in do, mag., per pianoforte, Mannheim (dedicata a M.lla Teresa Pieren), firmata: Di Wolgango Amadeo Mozart, 1777, Mannheim, fu venduta per lire sterline 29; un rondò in la minore per pianoforte (sottoscritto: Di W. A. Mozart, 1787) per lire sterline 12. Le opere di Beethoven erano rappresentate da un ben conservato concerto per pianoforte, in si bemolle, che fruttò lire sterline 16, e da tre canti di Gòthe, Op. 83, Wonneder Wehmuth, SehnsuchI e Mit einem gemalten Bande, datati dal 1810. Questi ultimi furono pagati lire sterline 12 e scel. 10. La partitura di una cantata di Handel fu acquistata per lire sterline 35. e la Messa di nozze di Giovanni Sebastiano Bach, colla data 1734, opera ancora inedita, per lire sterline 24. Prezzi inferiori furono pagati per composizioni di Haydn, Weber e Mendelssohn. APPENDICE LA SORELLA DI VELAZQUEZ LEGGENDA STORICA DI MARIA DEL FILAR SINUÉS DE MARCO VERSIONE DALLO SPAGNÜ0L0 DI DAN 8 ELE RU BB! (Continuazione, Vedansi i N. 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32 e 33/ Il vispo giovinetto stava per obbedire col volto raggiante di giubilo, quando un segnale di Rubens lo trattenne. — Andrò io a fare la rassegna di tutti i cavalletti, disse; e cosi non si dovrà muoverli dal loro posto. L’ambasciatore appoggiossi allora al braccio di Velâzquez nella stessa guisa che il Re s’era prima appoggiato al suo, e i due pittori si diressero al primo cavalletto sul quale era stesa una tela con una Maddalena quasi finita. Rubens si cavò il guanto bianco e profumato dalla mano destra, mentre contemplava la pittura con profonda attenzione. — Questo quadro rivela che avete molto ingegno, don Giovanni, disse egli dirigendosi al giovine; vi consiglio, però, di non far uso troppo frequente delle tinte forti. Il giovine artista inchinossi. — Fatemi il favore di darmi una tavolozza ed un pennello, signor don Giovanni, aggiunse l’ambasciatore; voglio dare una pennellata al vostro quadro, e ad ognuno di quelli dei vostri colleghi. Una esclamazione di giubilo scoppiò da tutti quegli animi entusiastici e giovanili, e due grosse lagrime di gratitudine spuntarono sulle nere e meste pupille di Velâzquez. Rubens prese il pennello che gli presentava don Giovanni, e strofinandolo nel colore adatto, tirò giù tre o quattro pennellate sul quadro, dando un’ammirabile ombra alle braccia della Maddalena, che risaltavano troppo. — Oh, quanto sono contento! bisbigliò il giovinetto seguendo Rubens colla tavolozza al cavalletto vicino. — Date la tavolozza al padrone di questa tela, don Giovanni, disse il Re della pittura con dolce e benevolo sorriso; desidero che ciascuno mi veda lavorare mentre dipingo per esso. Un fanciullo di quattordici anni, assai poveramente vestito, prese la tavolozza dalle mani di don Giovanni. — Come vi chiamate, piccolo amico? dimandò Rubens. — Paolo Astudillo, signore. — Abbiamo dunque lo stesso santo per patrono; da bravo, fatevi coraggio, disse Rubens dando qualche tocco nella tela con somma cura; avete dipinto una Niobe assai bella, per la vostra tenera età, per cui non vi faccio osservazioni; ma quando sarà finita, ve la impegno per la camera di mia moglie Èlena; scrivetemi ad Anversa appena’l’avrete terminata. Il ragazzo ritirossi piangente di gioja, e Rubens passò al cavalletto ’vicino. La tela presentava il ritratto del pittore di Filippo IV. — Oh, che ritratto magnifico! esclamò l’ambasciatore, contemplandolo a lungo e facendo un segno a Velâzquez perchè si avvicinasse nel frattempo che inumidiva il pennello. E cominciò, non ad emendare nulla, ma sibbene a dare ai bei lineamenti del ritratto una tinta melanconica che distruggeva l’espressiva e bella fisonomia dell’originale. — Quando il dolore che vi travaglia sarà passato. Velâzquez, dissegli a bassa voce, vi sarà grato il vedere questa imagine, perchè paragonerete la vostra felicità colle sventure già dimenticate; amo imprimere nel vostro ritratto l’imagine del dolore presente, onde benediciate Iddio, nel vederla, quando sarete felice. Don Diego crollò mestamente il capo. In quell’istante, il colloquio, che già da un quarto d’ora avevano a voce bassa il Re e il conte-duca, in un angolo dalla stanza, animossi di repente, senza che nessuno si avvedesse; i cortigiani interamente entusiasmati nell’ammirare Rubens a lavorare fra i cavalletti dei giovani, nuli’altro curaronsi di osservare.