Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1872.djvu/290

Da Wikisource.

284 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO Ho assistito melanconicamente all’esperimento finale dell’istituto de’ ciechi. Quegli infelici a forza di buon volere e di cure sono riusciti a non sentire quasi più la loro disgrazia; sanno la storia, la geografia, la fìsica, la matematica, parlano con sicurezza delle cose della terra che non vedranno mai. E nondimeno io mi sono detto che questa scienza fredda non può diradare l’eterna notte delle loro intelligenze; oh! chi, invece della storia e della matematica, potesse dar loro un raggio di sole! La musica è il meglio che si possa insegnare a chi non può assistere allo spettacolo dell’universo, ed è appunto in questa parte che i saggi dell’istituto sono sempre interessantissimi. G-li allievi suonano bene, taluni benissimo, e col concorso paziente dei maestri riescono a mettersi d’accordo in modo da eseguire con sufficiente precisione e colorito i capilavori della musica classica. Fra i pezzi cite suonarono l’altro di mi piacque assai una Melodia per harmonium e pianoforte, composta da una cieca, la signora Adele Sacelli. Le frasi sono larghe e piene d’espressione e la forma ben condotta. La signora Sacelli è un’allieva che fa molto onore alla scuola di composizione del maestro Saladino: essa è pure una cantante piena di sentimento e di passione. Udii un bravissimo violinista, il signor Vittorio de Gestenbrand. e parecchi buoni pianisti; in tutti i pezzi eseguiti, se molte volte venne meno la fusione dell’insieme, il sentimento individuale fe’ prova dell’ardore con cui quei poveretti si consacrano alla musica. La quale, per quello che ei vien detto, non è presso chi presiede all’Istituto nell’onore che merita. I professori, pagati a lezioni, vi han l’aria di estranei, e questo non è solo un danno ma un’ingiustizia; chi dà lezioni di musica ai ciechi non può paragonarsi al primo maestro di musica venuto; ha d’uopo di singolare pazienza e di prendere ad amare gli allievi come membri d’una famiglia a cui egli stesso appartiene. La bontà dei risultati ottenuti non è una buona ragione per persistere nel sistema, nè per credere che non si potrebbero ottenere di meglio. Sono imminenti le feste dell’Esposizione; il mese di settembre sarà un mese spettacoloso nel proprio significato della parola. Avremo quasi tutti i teatri aperti; la Scala col Freischütz e col ballo Bianca di Nevers, il Nuovo Teatro Bonaparte cogli Ugonotti, il Re ( nuovo ) col Don Pasquale; inoltre Santa Radegonda ospiterà la commedia, e il Carcano ospiterà la compagnia e lo spettacolo del Politeama: il Milanese si riaprirà con molte commedie nuove, e il Fossati si raccomanderà alla vena prolifica di Ulisse Barbieri! Non avremo però più il teatrino Estivo; da un paio di sere vi si dava con qualche fortuna il Don Procopio in cui si facevano applaudire le signore Baldi e Gnocchi; ma, non si sa bene perchè la compagnia ha trasportato provvisoriamente il suo bagaglio al Milanese. Si lamenta solo che per l’inaugurazione dell’Esposizione non sia pronto nè lo spettacolo della Scala,• nè quello del Teatro Bonaparte; si parla d’un’accademia vocale e strumentale, ma non si sa nulla di sicuro. Oggi al Conservatorio ebbe luogo la distribuzione dei premiì agli allievi; fu una bella cerimonia; il Direttore ’pronunciò un discorsetto intorno ai risultati dell’istituto; e furono eseguite dagli allievi le due belle sinfonie del Coronaro e del Cerquetelli, che abbiamo riudito con piacere. fetta del quadro dipinto sulla tela che Rubens aveva còlto da terra, credendola liscia. Era il superbo quadro che oggi esiste nel Museo di Parigi, e che si chiama II Seppellimento. — Chi ha fatto questo? chiese l’ambasciatore voltandosi al gruppo degli scolari. Nessuno rispose. — Chi di lor signori lo ha fatto? chiese dal canto suo Velâzquez. — Io no, no, no, risposero quasi a un tempo tutti i giovani. — Io, lo presi, senza sapere cos’era, nella stanza di Giovanni, rispose uno; dacché il povero Giovanni fuggì, mi rincresceva tanto che pigliai quel rotolo di tela per sua memoria. All’udire il nome di Giovanni, una terribile pallidezza copri il volto del pittore di camera, e i suoi occhi gettarono lampi. Subito Rubens fissò lo sguardo in altro cavalletto vicino, e impallidì pure: portava il bellissimo quadro della Incoronazione della Vergine. — Velâzquez.... esclamò con voce scalmanata e tirando il pittore di camera vicino al quadro: Velâzquez... dite... ditemi... dove avete visto i lineamenti di questa Vergine?... La pallidezza di Velâzquez si fece assai più grande. ■— Per l’amore di vostra madre, per quanto vi è di più caro al mondo, don Diego, rispondetemi! aggiunse ansiosamente Rubens. Velâzquez passò distratto la sua scarna mano sull’infocata fronte, e rispose con voce bassa e tremante, che soltanto poteva udire l’ambasciatore. — Il sembiante di questa vergine è una copia. — Ma non è esatta; non è vero? prosegui Rubens la cui ansietà aumentava: certamente non è esatta, Velâzquez!... È vero che l’originale aveva capegli biondi e occhi azzurri come quelli d’un angelo?... — Non lo so... — Non lo sapete! Ebbene per la vostra vita... esclamò Rubens afferrando Velâzquez violentemente pel braccio; ricordatevi che a me è necessario lo diciate; intendete?... ho bisogno... All’udire queste energiche parole, Velâzquez alzò il capo; la sua generosa alterigia ribellossi contro quell’aspro linguaggio, e da’ suoi neri occhi divampava l’ira. — Velâzquez! esclamò l’ambasciatore, indovinando ciò che passava in quell’anima; Velâzquez, perdonate la disperazione di un padre che vi chiede la figliuola sua... — Sua figlia!... gridarono a un tempo tre voci. Erano quelle del Re e del favorito, che in quell’istante entravano nascostamente, e quella di Velâzquez, che cadde ai piedi dell’ambasciatore colla fronte china al suolo. — Mia figlia... sì... sì!... mia figlia Anna, che mi avete rapita in Anversa, don Diego... esclamò Rubens, alla cui mente era stato un raggio di luce l’atto di Velâzquez di gettarsi a’ suoi piedi: la figlia mia che cerco dappertutto... La voce dell’ambasciatore rimase soffocata dal funebre battito della campana del monastero che sonava a martello, e subito si vide, attraverso le finestre dello studio, un’immensa colonna di fumo che usciva dal lato in cui erano posti gli appartamenti della Regina e del conte-duca. — Tua figlia è là... là, dov’è il fuoco, Rubens, esclamò il Re stendendo disperatamente le braccia verso il luogo dove usciva il fumo: e colà sta per perire assieme alla Regina ed a mia figlia!... Oh. figliuola mia! Si salvi mia figlia e sua madre!... Il Re lanciossi alla porta. Il sacro affetto di marito e padre trionfava della passione che Anna gli aveva inspirato. In quell’istante aprissi con fracasso la porticina che metteva alla camera del Re, e Isabella di Borbone si precipitò nello studio portando fra le braccia la figlia sua. Sembrava impossibile che quella delicata ed esile donna avesse potuto sorreggere a quel modo la Infanta Maria Teresa, che era svenuta. — Signore, la figliuola mia muore... esclamò la povera Isabella ponendo fra le braccia del Re la fanciullina, e lasciandosi cadere, quasi priva di sentimento, su una panca. Filippo IV avvicinò al suo petto il pallido volto della sposa; il conte-duca prese tra le braccia l’infanta Maria Teresa, e applicò ai naso della svenuta piccina una boccetta di spiriti, frattanto che Rubens e Velâzquez correvano alla porta in cerca di Anna. Ma tosto retrocedettero gettando un grido d’angoscia e di gioja a un tempo. Sulla soglia erasi precipitato, nell’istante che essi presentavansi, il mulatto Giovanni de Pareja, portando nelle sue braccia, quasi cadavere, la giovane Anna, la cui enorme capigliatura strascicava al suolo. In quell’istante in cui lo schiavo precipitavasi nello studio, la campana del monastero cessava dal sonare a stormo, e subito dopo entrava tranquillamente don Giovanni Hurtado de Mendoza, duca dell’Infantado. {Continua)