Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1872.djvu/300

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a 294 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO della loro libertà interiore. Non crederei perciò esser ben fatto sottoscrivere oggi all’esclusiva -teorica propagata dal Gluck in un tempo in che quel grande aveva bisogno di reagire contro l’onnipotenza dei sopranisti, ma richiederei pertanto che il cantante rispetti il concetto del maestro di cui è interprete e non lo modifichi nelle parti accessorie se non per meglio assimilarsene lo spirito. Il Consiglio di sopra-intendenza del regio Albergo dei Poveri nominò il Conti, direttore della scuola di musica, e il d’Arienzo primo professore di armonia e composizione. So di buona fonte che il Consiglio predetto intende valersi pure dell’opera di altri due artisti che nel Concorso al posto di direttore generale furono approvati con buoni punti: il Tofano e il Siri, affidando loro l’insegnamento delle classi superiori di bel càuto. ^.CUTO. J f, VENEZI A, 28 agosto. La Linda di Chamounix al teatro Malibran. IH Dopo varie rappresentazioni della Cenerentola, che incontrarono sempre maggiormente il pubblico favore, ed in una delle quali (serata della Marchisio) fu sonata la sinfonia della Semiramide con tanta potenza di effetti e con tanta gradazione di coloriti, da far veramente strabiliare non solo il pubblico, ma le persone più intelligenti dell’arte; ieri sera andò finalmente in scena la Linda di Chamounix col sospirato Cotogni. Venezia disperava quasi di poterlo più udire, perchè si sapeva che prima aveva sofferto alquante febbri, e poscia era stato còlto da una bronchite, della quale non era affatto libero nemmeno ieri sera. Invano i giornali annunziarono varie volte la prima recita, che sempre il fatto venne a smentire i desideri del pubblico; tanto che, disconoscendo l’animo veramente delicato e gentile del Cotogni, s’era sparsa l’assurda voce ch’ei non volesse più cantare a Venezia. Immaginatevi adunque con quante feste, con quante entusiastiche acclamazioni egli fu accolto al suo primo apparire sulla scena. Nessun cantante sa commuovere con una semplice inflessione di voce più del Cotogni, e qui egli, tanto negli adagi del primo atto, Ambo nati in questa valle, e La figlia mia, quell’angelo, quanto nell’adagio del terzo atto, Ah! che il Ciel vi benedica, spiegò con tanta soavità e con tanta espressione drammatica quella sua voce insinuante, che il pubblico ne rimase come affascinato, nè sapeva mai ristare dagli applausi, dalle acclamazioni e dai richiami al proscenio. Non occorre poich’io vi dica come egli seppe interpretare ed eseguire la frase saliente del suo duetto col prefetto: Perchè siam nati poveri, Ci credon senza onori e la famosa imprecazione a Linda quand’ei la ravvisa sotto le ricche spoglie dell’amante del conte di Sirval. Di molte cose il pubblico avrebbe voluto la ripetizione, ma come vi dissi, l’esimio artista non era ancora perfettamente ristabilito in salute, sicché appena appena per gentile condiscendenza, potè replicare l’allegro del duetto col prefetto: Esaltiam la tua potenza. Dopo il Cotogni, i primi onori della sera vanno attribuiti al Maurel, che specialmente nel duetto col Cotogni e nella proposta del finale del primo atto, si rivelò molto più grande artista di quello ch’egli fosse già apparso nel Mosè e nel Ballo in maschera. Egli fece quello che in termine teatrale chiamasi furore, tanto che fu più volte richiamato sulla scena, non solo dopo il primo ed il terzo atto, ma persino dopo il secondo, nel quale non ebbe parte. La Marchisio non ha gran parte nella Linda, sicché si adattò a sostenere la parte poco brillante di Pierotto, più per condiscendenza che per altro. Però esegui la sua parte egregiamente, e fu vivamente applaudita, specialmente nel duetto del secondo atto, dopo del quale fu anche richiamata al proscenio. La Urban si acquistò anche in quest’opera la simpatia del pubblico e si mantenne la riputazione di buona cantante non solo, ma di intelligente attrice, specialmente nel duetto colla Marchisio, e nell’altro col Ciampi, e più volte dovette anch’essa uscire dalle quinte per raccogliere ancora più vivi ed insistenti applausi. Anche il Ciampi raccolse iersera larga messe d’applausi, ma più che in qualunque altro pezzo, piacque nel duetto con Linda nell’atto secondo; egli rimane sempre uno dei migliori buffi che si conoscano. Del tenore (il Sarti) poco vi dirò, perchè sebbene egli abbia una voce non ingrata e canti di buona scuola, non ebbe in quest’opera, forse non adattata a’suoi mezzi, l’opportunità di farsi valere, sicché, quantunque una volta sia stato richiamato al proscenio, non incontrò troppo il pubblico favore. L’orchestra suonò mirabilmente, diretta com’è dal Mariani, e specialmente si distinse nel delicato istromentale dell’ultim’atto, che accompagna la scesa di Linda dal monte. Non datemi adunque dell’ottimista, se io vi dico che questo è uno spettacolo di primo ordine, e tale che farebbe onore a qualsiasi primo teatro delle maggiori città d’Italia. Naturalmente qualche appunto si potrebbe pur fare, come, per esempio, sulla partenza di Linda dalle montagne della Savoia senza nulla che la copra, e col grembialino di mussolina; sull’essersi ancora conservato il personaggio del Prefetto (com’esigevano le vecchie polizie), quand’egli dev’essere invece il curato, come lo indica lo stesso carattere della musica; sull’essersi ommesso il contrasto della musica festiva, che passa sotto le finestre poco prima del delirio di Linda; su qualche punto in cui l’orchestra copri un po’ troppo le voci dei cantanti, come con dispiacere si rilevò nell’esordio del duetto fra il Cotogni e il Maurel: Quella pietà sì provvida; ma questi son piccoli nèi, che spariscono affatto nella grandezza dell’assieme. La Linda si darà ogni sera fino al 2 di settembre, eccettuato venerdì, in cui si ripeterà la Cenerentola in occasione della serata del Ciampi. Dopo avremo per una decina di sere allo stesso teatro la Giacinta Pezzana ed il Monti; vedete adunque che il Malibran è propriamente diventato un teatro di prim’ordine. VICENZA, 26 Agosto 1872. Don Carlo di Verdi al teatro Eretenio. Ho voluto aspettare a scrivervi dopo la seconda rappresentazione del Don Carlo per poter avvalorare in qualche modo col fatto quella che era una mia idea fissa fin dalla prima rappresentazione, cioè che questo capolavoro di Verdi doveva diventare la vera attrattiva della stagione, e l’àncora di salvezza dell’impresario Cardini. In fatti l’esito che l’altro di fu buono ieri fu ottimo, e in molti punti veramente entusiastico. Non mi conviene insistere per rilevare i pregi d’una musica, oramai nota al mondo e tenuta in conto di sublime da per tutto; il mio modesto incarico di corrispondente si ristringe a darvi contezza dell’esito ed a dire due parole dell’esecuzione. Finora i pezzi più applauditi furono; la romanza di Rodrigo, il duetto dell’atto secondo tra Filippo e Rodrigo, quello tra Carlo ed Eboli nell’atto terzo, il terzetto e il gran finale dello stesso atto, il quartetto dell’atto quarto e più di tutti l’aria d’Eboli, e la gran scena, aria e morte di Rodrigo. Entrambi questi pezzi valsero, applausi e grida d’entusiasmo e tre chiamate agli esecutori i quali sono due artisti valentissimi, la Smeroschi e il Rota. Ho dimenticato di dire che la canzone del velo fu fatta ripetere nelle due sere e cosi pure le famose 8 battute d’orchestra; del resto se volessi citare tutti i pezzi applauditi mi ridurrei a fare l’anatomia dello spartito, che se alcuni pezzi stupendi d’insieme non ebbero finora l’effetto che ebbero da per tutto, bisogna accagionarne l’esecuzione che nei finali primo e terzo e in alcuni pezzi concertati lasciò spesso molte lacune dal lato del colorito e della vigoria.