Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1872.djvu/352

Da Wikisource.

346 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO Se tutti gli accademici del R. Istituto Musicale di Firenze hanno la buona abitudine di star attenti quando un loro collega pronuncia un discorsetto (la qual cosa entra nel campo delle ipotesi più arrischiate), non devono avere trovato il tempo molto lungo quando parlava il signor Alessandro Krauss. Codesto signore ha la fortuna, oratoriamente parlando, di non essere italiano, e di non sapere, se anco volesse, adoperare lo stile pomposo, gonfio, a paroioni, a riboboli, a contorcimenti, dell’arte oratoria, che è una beatitudine per chi lo adopera ed uno spasimo atroce per chi deve seguire il filo delle idee arruffato con magniloquenza sopraffina. Il signor Krauss domanda da principio scusa del suo cattivo italiano, che non è cattivo, e fa il discorso accademico come farebbe la chiacchierata intima, alla buona, pensando a dire le sue idee come gli vengono meglio. Ei non s’affanna a tirare indietro i verbi od i gerundi! per trovarseli sotto mano alla fine d’un periodo, e far stupire gli uditori i quali avevano forse immaginato che li avesse perduti — nel che consiste il massimo pregio d’un discorso veramente accademico — ma mette fuori le parole dietro al pensiero, condisce le sue idee coi motteggi, divaga nell’aneddoto, fa insomma tutti i suoi comodi oratorii, tranne quello di seccare il prossimo il quale deve ascoltarlo o farne le finte. Il tema ch’egli tratta in questo discorso, Il Pianoforte, i suoi cultori e la sua missione, gli offre campo a riuscire interessantissimo. In poche pagine ei dà la storia del formidabile strumento, ei parla delle trasformazioni per cui passò il monocordo fino ad essere il moderno strumento di tortura su cui si esercitano tutte le ragazze che aspettano marito, enumera i sommi pianisti, le loro scuole, le fabbriche antiche e moderne e trova modo ogni tanto di dar ottimi consigli a quelli che bazzicano su per le tastiere. E un discorso accademico che si legge d’un fiato, la fenice dei discorsi accademici. Il signor Krauss ha però qualche volta delle opinioni curiose che io non vorrei accettare ad occhi chiusi. Non so resistere alla tentazione di riprodurre un suo strano confronto tra pianisti e pittori, sul quale io non avrò mai meditato abbastanza: «Frescobaldi è il Cimabue del piano; Scarlatti ne è il Salvator» Rosa; Handel ne è il Beato Angelico; Giov. Seb. Bach ne è» il Giotto, e la reazione che si fa attualmente in suo favore» porta gli stessi risultati come se si ritornasse alla maniera» del pastorello di Vespignano; Fil. Emmanuele Bach ne è il» fra Bartolomeo; W. A. Mozart ne è il Raffaello; Clementi ne» è il Vasari; Haydn ne è il Perugino; Beethoven riunisce alla» forza di Michelangiolo la potenza di composizione di Kaulbach» e F inesauribilità di Orazio Vernet; Weber ne è il Tiziano;» Dussek il Domenichino; Wolfl ne è il Livio Mehus; Kummel» il Van Dyk; Pollini ne è il Lodovico Caracci; Moscheles TA1» berto Dureo; Field ne è il Simone da Pesaro; Cramer ne è» l’Overbeck, freddo e corretto; Mendelssohn ne è l’Holbein;» Chopin il Murillo; Schubert ne è il Leonardo da Vinci; Schu» mann nè il Giudo Reni, e la sua Consorte Clara Wiek ne è» la Virginia Lebrun; Meyerbeer ne è il Cornélius; Thalberg» è chiaro e limpido come Claudio di Lorena; Liszt rassomiglia» a Rubens, accoppiato a Lorenzo Monaco; Adolfo Fumagalli» ne è il Pierino del Vaga, e Carlo Taussig il Giuliano Bugiar» dini. Più di uno si potrebbe paragonare al Calott, e la mag» gior parte dei moderni pianisti sono come i pittori di genere,» graziosi, ma spesso meschini e barocchi». Non passa anno che non apparisca un nuovo sistema di notazione musicale per facilitare la lettura e l’esecuzione «della musica». Di siffatti sistemi nuovi ve n’ha che sarebbero ora assai vecchi, se, dimenticati appena messi al mondo, non fossero piuttosto come morti o come non nati. Il signor Aloysio non si fa illusioni, e questo è già qualche cosa; si direbbe che egli ha un lontano sospetto della sorte che attende il suo sistema e siffatto scetticismo onora il suo criterio. E badate che non dico che la proposta del signor Aloysio meriti di essere trascurata, tutt’altro; convengo aneli’ io che il rigo, le note negli spazii, sulle linee, e i tagli suppletorii sopra e sotto il rigo, e gli accidenti in chiave e le chiavi danno molto da pensare a tutti quelli che vogliono mettersi in grado di strimpellare sul pianoforte otto battute in tempo di tre per quattro; e mi pare che si potrebbe trovare qualche cosa di più semplice, e che il signor Aloysio abbia per lo meno assai ingegnosamente cercato; ma è tutt’uno, non se ne farà nulla. Quel benedettissimo rigo se ne impipa, gli accidenti non spariranno dalla faccia della terra, e le sette chiavi faranno sempre la loro brava figura di castellani in quell’edifizio medioevale. Perchè? Non è facile dirlo. Di perchè ce n’ha parecchi. L’abitudine, la immediata trasformazione di tutt’i maestri o di quelli che si credono tali in scolaretti per apprendere un nuovo sistema, e il rogo di tutta la musica stampata esistente e la sua necessaria trasformazione a benefìcio dell’avvenire; tutto ciò è grande ostacolo. Vi è di più. Avrete sentito più d’una volta porre fra le utopie il desiderio d’una lingua universale; supponete che si riuscisse ad introdurla, (e che non si trasformasse nei varii paesi col tempo tanto da non riconoscersi); e che qualcuno proponesse di sostituire alla lingua universalmente parlata un’altra più facile e più chiara; il cambio sarebbe altrettanto diffìcile come è oggi l’introduzione d’una sola lingua per tutti. Ora ciò che per la lingua è un’utopia, in musica è un fatto compiuto; la musica, come è scritta, cantata e stonata in Italia, è scritta, cantata e stonata in tutto il mondo civile. Trasformare il linguaggio musicale è impossibile, e si correrebbe il rischio di non ottenere altro se non la varietà dove è ora l’unità. Ed ecco in che sta l’utopia dei riformatori, i quali del resto sono da lodare se spendono il loro ingegno a porre il germe d’un’idea, che può forse dar frutti in un avvenire lontano. Nè il signor Aloysio nè altri avrà però la soddisfazione di assistere al trionfo dei loro sistemi — e neppur io! p. p’ARINA. Varietà Bizzarre cose accadono nel Belgio per il sistema di scrutinio con cui si accettano o si respingono dagli abbonati gli artisti che devono cantare in una stagione. Ad Anversa testé accadde che gli artisti respinti dovettero riapparire un’ultima volta negli Ugonotti e furono accolti con vivi applausi. E fu vista una prima donna piangere. A volte avvenne che il pubblico, dopo aver votato contro artisti buoni o mediocri, si accontentò in fine di altri men che me