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GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 375 parsa in Mosca avvenuta il 15 ottobre ultimo, e soggiungono che la charmante marquise riceve per la sua corrente scrittura di Russia, della durata di quattro mesi, non meno di dugento cinquantamila lire coll’obbligo di due recite per settimana. Il repertorio di ciascuna settimana bisogna che sia sottomesso alia sua approvazione dall’impresario almeno dieci giorni prima, ed ogni rappresentazione straordinaria dev’essere pagata otto mila lire! S’aggiunge che in caso di malattia, a meno che questa si protragga oltre i quindici giorni, la diva riceve il suo onorario egualmente! Il signor Gye vorrebbe scritturare il nuovo tenore Schott, che ora brilla a Berlino; ma essendo questi un ufficiale dell’armata del Wurtemberg e non avendo che un permesso limitato per compiere il suo contratto attuale, è possibile che pel momento almeno i voti del Gye non saranno soddisfatti. Il signor Schott ha frattanto rinunziato alle spalline d’ufficiale, e conta di ottenere presto la sua dimissione per consacrarsi interamente alla nuova vita artistica. u. BERLINO, 29 ottobre. Joachim e Wilhelmy — Nuovo concerto di Raff — L’Impazienza di Schubert — Un nuovo pianista ed un nuovo astro-tenore — Tant de bruit pour une omelette! «Sic transit gloria Berolinae.» Così potemmo dire la settimana passata, avendo avuto fra le nostre mura due concerti di due che toccano le massime vette dell’arte del violino. Per opera di costoro fu incominciata la nostra stagione in maniera da far i critici muti per stupore. Udii taluni dei migliori violinisti, venuti nei detti concerti per giudicar i fenomeni coi proprii occhi, imprecar il loro nascimento e i loro studii, perchè sbigottiti di tanta altezza e di tanta perfezione artistica. Parlo di Joachim, il quale cominciò il suo ciclo dei quartetti, e di Wilhelmy, detto l’erede di Paganini, il quale diede un concerto nellaSingakademie, davanti ad un uditorio eletto, composto del fiore dell’aristocrazia, dell’ingegno e del denaro. Benché lo Joachim fosse già rinomatissimo fra noi e fra i suoi colleglli musicali, pure la sua prova ultima fu indizio di tale perfezione ideale da far dire che mai fu inteso nella musica da camera nulla di più grandioso, di più elettrizzante. Il grido di guerra fu di questi giorni: Qui Guelfi, là Guaiblinghi; qui Joachim, là Wilhelmy, ma non vi è nessuna comparazione fra l’uno e l’altro, ed entrambi hanno la propria individualità. Nel programma del concerto Joachim ei era il solito numero accademico di tre quartetti cioè: Mozart {mi bem.); Schumann {mi magi); Beethoven {do mag. colla fuga Op. 59). I valentissimi de Alma, Rappoldi e Mueller gareggiarono di bravura e seppero tradurre mirabilmente il colorito gaio del quartetto del Mozart, il misticismo della composizione di Schumann, la quale appartiene a quanto di meglio ha prodotto la scuola romantica ed il suo fondatore, e trovarono il giusto accento anche nel quartetto del Beethoven, principalmente nell’adagio fantastico e nella stupenda fuga (meglio fugato). Quest’ultima fu eseguita, come vi scrissi, da più di 40 valentissimi violinisti, scolari dello stesso Joachim, all’occasione degli esami della Hochschule fuer ausuebende Tonkunst, e l’effetto prodotto sull’uditorio da questa massa giovine, esercitata benissimo, restò finora insuperabile, ma lo Joachim, il Dante dei violinisti, riuscì a trarre lo stesso grandioso effetto con un solo violino e con due mani sole! Pensate gli interminabili applausi! Questi cicli di quartetti sono divenuti ora un mezzo efficace di formare il gusto classico del nostro pubblico. Il Wilhelmy suonò due concerti per violino dei più difficili che si conoscano, l’uno di Paganini {re magi) e l’altro nuovo di Joachim Raff {si minore), ambedue con accompagnamento d’orchestra, orchestra assai valente che esegui prima sotto la direzione del prof. Stern Y ouverture Coriolano di Beethoven con vera maestria. Il Liszt disse di Wilhelmy, quando aveva solo dieci anni (ora ne ha 27), «questo è il vero erede di Paganini», le poche parole caratterizzano, io credo, il suo vero ingegno. Ei non conosce ninna difficoltà, fa sorridendo cose che, studiate con grande assiduità per molti anni, da buoni violinisti non si fanno di solito che con molta fatica; per dirne una ai non profani, egli esegui una scala cromatica in ottave sopra le quattro corde in tempo prestissimo. La purezza, l’eguaglianza e la libertà danno le vertigini al conoscitore, e la cavata, benché paia per il primo momento fredda, non aspra, è d’una potenza ferrea. La sua mano destra è. formata benissimo, ma non sta alla stessa altezza della sinistra che si è elevata sopra ogni critica; è questa una ragione perchè lo Joachim supera il Wilhelmy, essendo perfezionato nello stesso grado nelle mani sinistra e destra; ve n’ha un’altra e più grave, ed è la superiorità musicale dello Joachim, la quale si farà più manifesta dopo che il Wilhelmy abbia, come intende, dato una serata di quartetto coi membri del quartetto Joachim, quasi chiamando a duello artistico il suo chiarissimo rivale. Quale altro avrebbe acconsentito a dare le sue armi all’avversario? Ma come è artista, lo Joachim è anche uomo, non conosce mai cabale e rancori, difende solo il vero e non è geloso dei meriti altrui. Il nuovo concerto di Raff, suonato da Wilhelmy, e scritto specialmente per lo stesso artista, è il medesimo che menzionai altra volta, e che fu eseguito miserabilmente da un artista mediocre. Vi scrissi anche che volli riserbar il giudizio mio finché il Wilhelmy venisse per eseguirlo, ora vi dirò che questo concerto è una di quelle composizioni, delle quali non si può fare un giudizio finito, finché non si possa udirla eseguita con vera maestria. È una creazione che mai diverrà tanto popolare come sono i concerti di Mendelsohn e di Beethoven, grazia alle difficoltà immense, ma eseguite da un artista della forza (o presso a poco) del Wilhelmy, è un vero capolavoro. Il Raff, che è uno dei primi compositori viventi, aggiunse una nuova foglia alla sua corona d’alloro; principalmente il primo tempo ed il secondo sono veri modelli di musica di tal genere, il finale trionfale scade un poco ma è pur sempre pregevolissimo. Degli altri artisti che presero parte al concerto voglio dirvi due parole. La cantatrice signorina Olena Falkmann da Stoccolma, una leggiadrissima svedese, è un mezzo-soprano di voce non molto estesa, ma bellissima, e canta con molto sentimento; nel tempo vivo durò fatica non lieve, nell’Impazienza dello Schubert, a eseguir l’accompagnatore il quale verosimilmente aveva dimenticato la chiave di casa, e si mostrava veramentejmpaziente. Cantò benissimo la Falkmann un’aria antica dello Haendel e parecchie canzonette svedesi. Di più si fece udir nello stesso concerto un giovine pianista d’Amsterdam col nome di Carlo Hegmann. È un allievo del Conservatorio di Colonia e specialmente dello Hiller, ha molta scioltezza e sa trarre effetti di smorzature, di cui non fa sempre uso giusto nè parco. Certo però questo giovine pianista sarà un giorno un artista di vaglia; il massimo successo ebbe nella Polonaise (la bem. mag.) di Chopin, pezzo, come sapete, diffìcilissimo, e negli Sludj sinfonici di Schumann, la qual composizione, benché non scritta per sala di concerto, fu eseguita da lui con vera maestria. Una propria composizione, Capriccio di ballo, non piacque, ma mostrò le traccie d’un talento non spregevole di compositore. Si parlò molto fra noi della scoperta d’un nuovo tenore nella persona d’un già confettiere col nome di Fritz Marei, il quale (si disse) doveva essere un astro di primo ordine, come mai non si vide; ma tutta la storiella si riduce alla preghiera del detto Marei al conte di Huelsen, perchè facesse esaminar la sua vocina (che affé non è quella di Roger o di Niemann) ed al rifiuto che seguì l’esame. I berlinesi amano far un elefante d’un infusorio; era il caso di dire con Napoleone: «Tant de bruit» pour une omelette!» Ïaro. PIACENZA. Ottime accoglienze furono fatte alla Gemma di Vergy, assai bene interpretata da tutti gli artisti. MODENA. Ci scrivono: «Abbiamo avuto la Chiara di Rosembergh, protagonista la signora Flavis-Gencetti che fu applaudita in ogni pezzo e specialmente nel gran finale 2.° e nel rondò finale. Piacquero assai il baritono Giommi ed il buffo Trinci; benino anche il tenore Fabrini. a cui nuoce molto la pronunzia infelice. E un inglese. BARCELLONA. Ci scrivono in data del 1° novembre: Nella Lucia di Lammermoor, piacque immensamente la Ponti, che fu acclamatissima alla cavatina, ai duetti, al gran finale e in special modo alla scena del delirio o rondò. Applauditissimo il baritono Toledo, bene il basso Rodas, incerto il tenore Genevois; magnificamente cori ed orchestra.