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GAZZETTA MUSI Non ei si venga a parlare dei Don Carlo stranamente eseguito due anni or sono. Le c se mutarono d’aspetto: il Verdi può andar superbo anche della sua abilissima direzione. È stato ier sera un grande e meritato trionfo per lui. Oh perchè lo spazio non ei permette d’analizzare le innumerevoli bellezze d’un lavoro cosi immenso! E tutti concorsero per la lieta riuscita, e se non tutti raggiunsero la nobile meta, si deve alla trepidazione, ond’erano invasi artisti e professori, dal primo all’ultimo. Imperocché ier sera trattavasi d’un avvenimento musicale, d’un i festa per l’arte. Loderemo a preferenza l’orchestra, la Waldmann, (principessa d’Eboli), anche la St Itz (Elisabetta), il Patierno che ha voce di tenore degna d’un massimo teatro, il baritono Collini, il basso Cesarò, l’altro basso Miller i cori. Troviamo commend-vole lo scenario, le ricche vesti, e quanto mai servì, a rendere senza risparmio di spese, imponente e solenne la rappresentazione d’una musica che mostra al Wagner come qui tra noi il suo avvenire, le sue intenzioni, vennero già tradotte egregiamente ne’ fatti, non disprezzando però la logica ed il senso comune. Dopo lo spettacolo del Don Carlo, stanotte l’orchestra del nostro massimo ha voluto dare una serenata all’illustre Verdi, e si è recata ad eseguirla sotto i balconi di lui aW Hotel Crocelle. Ed il Pungolo scrive: Grandissima era l’aspettativa pel grandioso spartito del Don Carlo, studiato e posto in iscena sotto la immediata direzione dell’illustre suo compositore: nè quest’aspettativa rimase delusa, in molta parte almeno. Diversi pezzi infatti, massime i duetti soprano e tenore, nonché il terzetto dell’atto terzo, parvero cose assolutamente nuove, onde destarono un vero entusiasmo. Il maestro venne invitato al proscenio venticinque volte, con ovazioni indescrivibili; la bellissima canzone della Duchessa d’Eboli si volle ripetuta, e replicata tre volte quelle ormai famose battute di sola istrumentazione che all’atto terzo succedono al ballo. E nel Piccolo si legge: «Don Carlo, calunniato due anni fa, ebbe iersera piena rivendicazione; ed apparve quello che e; e fu applaudito con entusiasmo; e fece chiamare Verdi innumerevoli volte all’onore del proscenio. E non erano tutti venuti per ammirare. Più d’uno era entrato in teatro, scontento di dover subire questo Don Carlo che due anni fa gli avea dato noia, indispettito del sapere messa in rivoluzione la tradizionale» prima orchestra del mondo»>, disposto a non ismentire il primo giudizio del pubblico napoletano. Ma, levata la tela, dalla nuova precisione dell’orchestra — che non suonò mai così egregiamente, e che fu pari alla sua fama non nelle sole otto battute, come due anni fa, ma in tutto lo spartito — gustò quella studiata e cara melopea che rende pregevole il Don Carlo, e vide che il sentimento nuovo vinceva il vecchio, ed applaudì, applaudì freneticamente, e diede nuova conferma alla fama di buon gusto musicale che hanno i napoletani in Europa. La Stolz si mostrò superiore alla sua fama. Ella è artista, artista davvero che nulla lascia a desiderare. Udiamo la Gazzella di Napoli: Il successo del Don Carlo al nostro massimo è stato, a giudizio di quanti ebbero la fortuna di poterlo udire la prima sera, pieno, splendido, maggiore di quello che si potesse aspettare. I giudizii sui particolari dell’esecuzione e sul merito degli artisti che vi ebbero parte, non sono concordi, ma tutti convengono in questo: che il pubblico napoletano è giunto ora a gustare quest’opera che la pessima esecuzione di due anni sono aveva reso appena intelligibile agli esperti in cose musicali. La eccellenza degli artisti in generale, la perfezione dell’orchestra accresciuta, il miglioramento dei cori, il numero grande delle masse, la splendidezza e la verità dello scenario e del vestiario in tutti i più minuti particolari, concorron a fare del Don Carlo uno spettacolo che, abbiamo udito dire a certi signori francesi, supera di molto nel paragone quello dell’Opéra di Parigi, dove pure quello spartito fu preparato con molta diligenza e messo in iscena con grande ricchezza. L’illustre maestro Verdi, al quale Napoli deve che il nostro maggior; teatro si veda quest’anno restituito ai più bei giorni della sua grandezza, dopo essere stato entusiasticamente festeggiato a S. Carlo, ebbe, finita l’opera, all’Hotel Crocelle dove abita, una non meno bella dimostrazione. Lo stesso giornale dà i seguenti particolari su tale dimostrazione: La banda che suona nel Don Carlo, uscì dopo il terzo atto di teatro, e si recò ad aspettare Verdi alla Crocelle. Intanto lungo la via da S. Carlo al Chiatamone s’erano appostati uomini con lumi di bengala che doveano servir di segnale. Difatti verso la mezza, alla svolta del Gigante, fu àcceso il primo: era l’annunzio che il maestro era montato in carrozza per tornare a casa. Immediatamente l’avviso fu trasmesso su tutta la linea. La carrozza, che recava il maestro, giunta a Santa Lucia, fu rischiarata da 60 torce a vento e salutata dalla folla che le si accalcava intorno. Come il maestro fu giunto all’albergo, e scese di carrozza, la banda intuonò VOmaggio composto dal Savoia su motivi delle più belle opere di Verdi. La via si illuminò istantaneamente di bengala a varii colori, la gente s^affollava spingendosi presso la carrozza e gridando viva Verdi, tutti i passeggieri delle Crocelle erano usciti su per le scale a salutarlo e a congratularsi. CALE DI MILANO 403 In questo singolare accordo della stampa stona solo l’Unità Nazionale. Ecco quello che dice: Diciamolo subito: l’opera ebbe un gran successo... di stima. In tre punti solo il plauso fu unanime, ed anzi le falangi romane (come dice il nostro appendicista) restarono in seconda linea, cioè a dire nella Canzone del Velo che fu fatta ripetere; nel terzetto dell’Atto III con le celebri otto battute, che si vollero replicate tre volte, e nell’aria della Waldmann all’atto quarto. Nei suddetti pezzi, complessivamente, il Verdi fu chiamato al proscenio 11 volte, ed in tutta l’opera 24 volte, la maggior parte delle quali con plausi parziali, e talvolta contrastati. E vero che più sotto parlando dell’esecuzione, quel giornale dice della Stolz che pecca nell’intonazione e che non ha fusione dei registri della voce!!!! Che orecchie, cieli misericordiosi, che orecchie! E Tl Roma così parla della seconda rappresentazione: «La seconda rappresentazione del Don Carlo, ebbe ier sera esito più felice ancora della prima sera. — Gli artisti tutti, smessa la titubanza di una prima rappresentazione, interpretarono con più sicurezza il capolavoro del Verdi, il quale venue chiamato al proscenio, fra gli applausi entusiastici, circa trenta volte. — Il teatro era affollato e vi si notavano molti maestri di musica e dilettanti». Nostre particolari notizie ei informano poi che alla terza rappresentazione l’esito fu pari se non superiore alle due prime, e che l’opera è sempre meglio gustata. Rivista Milanese Sabato, "l dicembre. Oltre i Promessi Sposi al Dal Verme, non ei fu veramente altro di nuovo. Con quest’opera quel teatro, nato sotto cattiva luna, ripiglia vigore per giungere alla fine della stagione; e poi?.. E poi, è da molti e da molto tempo che si ripete, quel teatro ha bisogno di subire una metamorfosi, di addormentarsi verme e di rinascere farfalla, come ha detto il mio confratello del Trovatore. Perchè non ribattezzarsi Politeama? È un pregiudizio, ma per quanto illustre sia il gentiluomo che porta il nome di quel teatro, vi è chi si ostina a non trovarlo di buon gusto. E poi un nuovo teatro non ha un albero genealogico dalla sua, nè le tradizioni degli avi, nè le illustrazioni dei nipoti. Non si dice più: «andiamo al teatro dal Verme,» ma: «andiamo al Verme» e si ride. Certo durante il riposo si farà un consulto a prò’ dell’ammalato; ora si raccomanda alle meditazioni dei consulenti, più di tutto e innanzi tutto, un vermifugo. Con migliori auspici è nato il Teatro della Commedia — il quale si inaugurò l’altro di e fu trovato un magnifico teatro, elegante, ricco, splendidamente illuminato. Tanti han parlato dell’atrio e del peristilio, e del palchettone, e delle tribune, che a me manca il coraggio di fare un’altra descrizione, inutile certo ai lontani, fastidiosa più che inutile a chi ha letto o può leggere la più bella ed esatta descrizione, quella che fanno gli occhi proprii. E poi Aristofane Larva, a cui voglio un gran bene, mi ha detto che farà quattro chiacchiere lui nella Rivista Minima. Tanto peggio per i suoi lettori. I miei non sapranno altro se non che Bellotti-Bon ha pronunziato un magro discorso per dire... che il vecchio teatro Re era oscuro, e che il nuovo teatro luminoso mi pare minacci di essere retto con modi e forme di governo molto aristocratiche e con formalismi nuovi. Ah! signor Belletti, quanta luce bisogna che mandino le fiamme del nuovo teatro prima che possano ecclissare le tenebre di quello che non è più!