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GAZZETTA MUSIC A LEDI MILANO 55 «Vi fu un critico autorevole, il quale nelle sue prime impressioni disse che nell’Aida c’è una lotta incontestabile fra il Verdi vecchio e il nuovo: fra F artista che mira a perfezionarsi (!) ad estendere il vasto campo delle espressioni musicali e l’uomo che non sa sciogliersi dagli impacci di un passato, a cui pur deve tanta gloria e fortuna. u Ecco che gli si fa rimprovero di una virtù! A me pare prima di tutto che nell’Aida, non ei sia lotta nessuna. Verdi ha accettato quanto di nuovo può accettarsi in Italia, e dove ha trovato di poter fare il connubio fra la sua maniera, l’italiana, e la nuova, l’ha fatto; ma senza lotta, evidentemente di proposito, conservando alla nostra musica il carattere suo e che vogliamo che abbia anche per onor nostro! E quando gli sgorgò una cabaletta, non se la strozzò nell’ugola, solo perchè Wagner non ne vuol sapere. «Meyerbeer a questa stregua, se vivesse, dovrebbe cancellare dallo spartito del Roberto il Diavolo, la Siciliana del primo atto, le strofe: quando qui venni, ecc., insomma tutte le pii! facili melodie di quello spartito, ancora insuperato, perchè sono scritte conforme che Wagner non ha e ripudiate oggi da chi spinge il progresso al barocchismo. «D’Aida è un’opera italiana; prettamente italiana, ricca di belle e nuove e inspirate melodie; ha un disegno perfetto, grande condotta, passione, eguaglianza nella quasi sua totalità; e mi riservo prossimamente nel fare l’analisi dello spartito di spiccarne, per quanto sta in me e nelle mie forze e nella mia intelligenza, le peregrine bellezze, chiamando il mio benigno lettore a gustarle con me. Per oggi, dunque, non gli dirò se non che: il preludio, l’aria di Radamès, il duetto d’Aida e Amneris, l’inno di guerra, i ballabili nel tempio di Vulcano, il grande finale dell’atto primo; tutto l’atto secondo; il duetto fra Amonasro e. Aida, quello fra Aida e Radamès, nel terzo atto, e tutto il quarto sono pagine di musica degne del grande autore del Ballo in maschera e del Don Carlo. «L’appendicista del Corriere di Milano scrive dopo la seconda rappresentazione: «D’Aida s’apre con un preludio a sordini, delicato lavoro strumentale, dolce lamento d’amore che più innanzi si ritrova in bocca d’Aida. La romanza di Radamès non ha molta originalità, ma s’ascolta con diletto, mercè la grazia dello strumentale. L’inno di guerra è maestoso, ma ricorda il God save thè King di Haendel. La grande aria d’Aida, di forma affatto moderna, che chiude il primo atto, non ha avuto finora che un successo di stima, nè mi pare che meriti altro. «La seconda parte del primo atto ei trasporta nel tempio di Ftà. S’ode il canto interno delle sacerdotesse, a cui succede una danza sacra. E tutta una melodia malinconica, languida, soave. Fa pensare alla quiete de’chiostri, alla dolce inerzia della vita orientale, ai bianchi cortili degli arem, ai palmizii silenziosi ed immobili sotto il sole. E un ronzar di api misto al suono d’una piva lontana. Ricorda la Captive di Vittor Hugo. Forse non è l’antico Egitto, ma che importa? E l’Oriente. E una squisita ispirazione. Udito che avete quel verso, vi s’attacca nè più vi lascia, ed ora ancora lo sento aleggiar intorno a me nell’aria notturna. Gli tien dietro un’invocazione a cui prendono parte Radamès ed i sacerdoti. Essa fa succedere alla penombra la luce piena, al mormorio dei flauti e de’ violini, il rimbombo di tutte le voci e di tutti gli strumenti, e chiude l’atto splendidamente. «Il secondo atto si apre con un coro di donne. Siamo nell’appartamento d’Amneris, la sorella del Faraone, l’amante non corrisposta di Radamès. La musica rinnova la dolce e mesta impressione che dà il coro delle sacerdotesse. Il duetto fra Aida ed Amneris in cui la prima sfoga ii suo amore, l’altra la sua gelosia, è fra migliori pezzi dell’opera. Vi ritorna la frase lamentosa d’Aida già udita nel primo atto. La marcia trionfale ed il gran finale, che formano la seconda parte del secondo atto, hanno momenti bellissimi, terminano con uno scoppio stupendo di suoni, e sono stati applauditi con entusiasmo, ma confesso che non m’hanno fatto un’impressione pari a quello che sembravano averne avuta gli altri spettatori.» Il terzo atto ha luogo nell’isola di File, sul Nilo. È notte. Un delicatissimo preludio descrive la quiete notturna, e la frase di esso si ripete più volte durante l’atto. Vi odi il cheto rumore dell’acqua scorrente, il gridio dei grilli, vi vedi raggi lunari e luccicar di stelle. Leggiadro è il breve coro interno. Tutto il principio di questo atto è delizioso fino alla romanza d’Aida ch’è una gemma, una vera gemma, che il pubblico non ha apprezzata abbastanza. i due duetti successivi hanno bellissime frasi, ma anche cose alquanto volgari. Tale m’è sembrata l’imprecazione di Amonasro, e tal è, per consenso generale, la cabaletta del secondo duetto. Ma quanta poesia, quanta voluttà nella frase: Sotto il mio del più Ubero L’amor ne fia concesso. con que ricordi della precedente romanza d’Aida. «Il quart’atto è il migliore. Bellissimo è il monologo di Amneris, desolata ed atterrita, dopo che l’amante è stato ricondotto nella carcere. Altamente drammatico è il giudizio di Radamès, con quel nome tre volte ripetuto, quei silenzi indicati dal sordo vibrar de’timpani e quel grido di traditori seguito da uno scoppio d’orchestra e dalle grida di dolore di Amneris. E finalmente eccoci all’ultima scena, alla scena capitale, in cui Aida e Radamès si trovano chiusi nel sotterraneo, nelle tenebre, mentre sul loro capo i sacerdoti suggellano la pietra sepolcrale ed intuonano funebri cantilene. La situazione è bella, nuova, tragica, e Verdi ne ha profittato da par suo. Il cantabile di Radamès: Morir sì pura e bella, è d’una dolcezza insuperabile; è l’addio d’un angelo al paradiso. Non è meno ispirato il lamento d’Aida: 0 terra, addio! Si riode la flebile melodia del tempio di Ftà e la frase d’Aida nel primo atto. Con questa musica davvero Si vola al raggio dell’eterno dì come calla la vergine etiope abbandonandosi fra le braccia dell’amante.» Mi resta appena qualche riga per dire che il libretto del Ghislanzoni è eccellente. Parlo dei versi, giacché l’orditura della favola non è sua, Egli ha fatto versi facili, melodiosi, vibrati. E forse questa la prima fra le opere che Verdi ha scritta da quindici anni in qua, di cui le parole non facciano torto alla musica». L’appendicista dell’Opinione, venuto a posta a Milano, dice: “Fu eseguito il preludio che era stato scritto pel Cairo, e che d’altronde prepara assai favorevolmente gli animi degli uditori. Vi domina il pensiero adoperato dal maestro per esprimere l’amore d’Aida, ed è intrecciato con delicatissimi lavori di contrappunto.»» Tutte le relazioni venute dal Cairo e scritte dal D’Ormeville, dal Filippi e da molti altri, ei avevano data un’idea alquanto erronea di quest’opera. I pezzi che essi magnificavano non parvero a Milano i migliori dello spartito; qui il successo fu determinato da alcuni pezzi che al Cairo erano passati quasi inosservati. «Nel primo atto la romanza del tenore che tanto piacque al Cairo, non valse a Milano che pochi applausi al Fancelli. Ben lavorati, ma alquanto freddi, sono pure il duetto e il terzetto che tengono dietro a quella romanza, ma grandioso e pieno di vigore è il pezzo concertato: Su del Nilo al sacro lido. Senza racchiudere un’idea originalissima ha però quello slancio giovanile che si ammira nelle prime opere del Verdi. Gli applausi scoppiarono per la prima volta unanimi ed il maestro fu chiamato per ben tre volte all’onore della scena. Viene quindi un’aria d’Aida, che a mio avviso può rivaleggiare colle migliori del repertorio classico. Verdi in questo pezzo, pur conservando la propria impronta, ha navigato in pieno Gluck. Ma il pezzo capitale dell’atto primo, ed una delle gemme dello spastito è l’ultima scena. Radamès che deve muovere contro gli Etiopi è investito delle arme sacre. La cerimonia religiosa, le danze caratteristiche sono trattate con grandissima ricchezza di colori. Il carattere orientale è indovinato, le melodie sono veramente nuove ed inspirate, l’arte è veramente degna di un maestro di prilli’ ordine. «Il secondo atto si apre con un graziosissimo coro di schiave, nel quale è intercalato un ballabile di mori, che fu a più riprese interrotto dalle grida frenetiche del pubblico. Una pagina altamente drammatica è quindi il duetto fra Aida ed Amneris. Viene poscia il gran finale, che al Cairo fu giudicato il miglior pezzo dell’opera. Piacque anche a Milano e destò entusiasmo, ma per me (e molti sono del mio avviso) è inferiore al finale dell’atto primo. La struttura rammenta fino ad un certo punto il gran finale dell’atto terzo del Don Carlo. Incomincia con una marcia che a taluno parve alquanto sconnessa e soverchiamente lunga, quantunque racchiuda due bellissimi pensieri quello proposto dal coro delle donne e poi ripreso da tutte le masse, e la sortita stranissima ma piacevole delle trombe egiziane. Il largo del finale è imponente per l’intreccio delle voci e gli effetti di sonorità; è bella anche la stretta che si chiude nella riunione di due pensieri, come quella famosa dell’atto primo del Ballo in maschera. Ma forse nel Ballo in maschera questa riunione succede in modo più chiaro. Comunque sia, questo finale, per la sua grandiosità e per la varietà con cui è condotto, non può a meno di piacere. Soltanto io credo che non offuscherà il rimanente dello spartito. «Nell’atto terzo abbiamo un bel saggio di musica descrittiva nella romanza d’Aida: 0 cieli azzurri, di cui è pregevole e nuova sovratutto F istrumentazione. Uno dei migliori pezzi dell’opera, ed anche dei più applauditi, è il duetto fra Amonasro (baritono) e Aida (soprano). Gli è a mio avviso inferiore il duetto fra Radamès e Aida, che termina con una cabaletta infelice, ma che contiene un soavissimo andante. L’atto si chiude con una scena dramìmatica di mediocre effetto. In complesso, adunque, F atto terzo è il più deIbcle dello spartito, ma basterebbe a salvarlo il già citato duetto fra Amotiasro ed Aida. ’ «Il Verdi si rialza nell’ultimo atto, che è, senza dubbio, uno delle migliori cose che il celebre maestro abbia scritte. Il duetto fra Radamès ed Amneris, la scena in cui Radamès è condannato dai giudici mentre Amneris sente ed esprime tutto lo strazio dei rimorsi, la scena finale della morte di Radamès e di Aida nel sotterraneo mentre i sacerdoti nel tempio ripetono i cantici dell’atto primo, tutto ciò forma un crescendo non interrotto alle bellezze, che vi fanno passare dal terrore alla pietà, dalla pietà all’ammirazione. Alla fine di quest’atto prodigioso, il Verdi era chiamato per ben ^nove volte di seguito all’onore del proscenio, e il successo si era mutato in trionfo indescrivibile. Le chiamate al proscenio in tutto il corso dell’opera, furono. trentatrè.» I «Un’ultima parola. Falso, falsissimo che il Verdi dell’Aida cammini sulle tracce del Wagner. L’Aida è opera grandemente melodica, e lo strumentale squisitissimo quasi mai vi usurpa le regioni del canto. Verdi tien conto dei progressi dell’arte, rivendica la libertà delle forme, e di ciò gli va data lode. Ma l’arte italiana non ha che da rallegrarsi di trionfi simili a questo.»