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GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 65 È fra voi il Mussila; dicesi qui che abbia quasi concluso di far rappresentare l’anno venturo il Don Carlo e VAida. Al Mercadante nelle Educande di Sorrento presentossi una nuova prima donna, la D’Alberti Angioletta, e non dispiacque. Si rappresenterà domani sera al teatro Rossini la Zorilla di un maestro Nani. In Pasqua avremo spettacolo melodrammatico al Filarmonico; si rappresenterà F Elisa e Claudio; per ora è scritturata la Sainz solamente. ^cuto. Veuoxia. 22 febbraio. Reduce appena dalla mia gita costà, coll’anima ancor riboccante di commozione per le gran belle cose udite e vedute nella simpatica e briosa Milano (tra le quali V Aida ha il primo posto), eccomi a darvi qualche notizia su ciò che, musicalmente parlando, succede qui. Ieri a sera al Camploy la Saffo ebbe un trionfo. La sala era ripiena di ciò che v’ìia di più eletto; il pubblico tutto della Fenice si aveva data l’intesa per assistere alle traversie della simpatica quanto infelice poetessa di Lesbo. Il primo atto, a dir vero, passò piuttosto freddamente: ma all’atto secondo le cose procedettero a vele gonfie: tutto quest’atto fu freneticamente applaudito e ben a ragione. Lì Fermi Teresina, (Olimene), nuova pelle nostre scene, veniva festeggiata in modo straordinario alla sua romanza: «Ah! con lui mi fu rapita» detta in modo stupendo. La Teresina Ferni ha vera voce di contralto ed accenta meravigliosamente. Ma onori singolarissimi la attendevano al gran duetto nell’atto stesso con Saffo (Ferni Carolina). È impossibile il dire a parole come queste due artiste abbiano interpretato quel canto magistrale, e come l’abbiano reso ancor più malagevole ad eseguirsi per infinite fioriture, e per una cadenza di difficoltà somma e di irresistibile effetto. Il duetto si dovette replicare tra gli urli di un pubblico delirante. Il finale tutto, tanto al largo che alla stretta, cantato meravigliosamente in particolar modo da parte della Ferni Carolina che per accento, per azione, per anima è una potenza, valse agli artisti infinite acclamazioni, e dopo di non so quante chiamate si volle vedere per otto o dieci volte la Ferni Carolina sola. Questa egregia artista con un trionfo di tal genere dette la più bella risposta a quelli che, non sapendo far di meglio, dicono e stampano delle bestialità. Venne l’atto terzo e il trionfo fu ancora più completo, poiché tanto il Giraldoni (Alcandro), come. l’Aramburo (Faone). il primo al terzetto e l’altro alla sua aria, furono festeggiatissimi. L’Aramburo dovette replicare l’adagio tra i più vivi applausi. Non v’ha chi non sappia come la parte di Faone sia uno scoglio perigliosissimo per tutti i tenori: il personaggio poco simpatico, l’acutezza del registro, l’assenza assoluta di un pezzo di effetto sicuro, fanno di quella parte una cosa ardua, assai: pure l’Aramburo, in particolar modo pella voce sua prodigiosa, seppe trascinare il pubblico al più vivo applauso. Peccato che questo giovane non sia ancora un artista provetto. Se colla voce che ha sapesse cantare ed avesse qualche altra cosa, v’assicuro che fra i tenori del giorno non avrebbe rivali. Io dico questo perchè temo perda la voce prima di aver imparato a ben cantare: ha voce fortissima, è vero, ma ne fa uno sfoggio straordinario, ed io vorrei che il Giraldoni, sotto il quale l’Aramburo studia, lo consigliasse a tener conto di un tesoro cotanto inestimabile. Il rondò finale: «L’ama ognor qual io l’amai» detto dalle Ferni stupendamente, fu degna chiusa a tanta bella serata, ed è desiderabile che le rappresentazioni della Saffo si succedano e si rassomiglino. Molte cose ei sarebbero a dire sull’orchestra che in qualche momento ne fece di quelle da far perdere la pazienza agli anacoreti: i cori, poveretti, fecero del loro meglio. Alla Fenice, sabato andrà in iscena il nuovo ballo Graetchen del Danesi: per opera si alterna Mignon alla Jone; si ebbe anche il coraggio di ridare il Macbeth. Vi assicuro che ei vuole una fronte di pergamena a porre in iscena uno spartito cosi importante con elementi simili! P- fParigi, 21 febbraio. Non potreste mai farvi un’idea esatta dell’ira da cui erano animati i giovani compositori di musica, senza pregiudizio di. qualche maestro già attempato, la sera della prima rappresentazione A’Una Festa a Venezia di Federico Ricci al teatro Lirico, (sala dell’Ateneo). Fin dalle prime battute dell’introduzione la loro ostilità, sul principio un po’timida e latente, ha messo da banda ogni pudore e si è dichiarata apertamente. Non potendo o non osando attaccar di fronte, la turba dei malcontenti ha addentato il libretto, e siccome questo — bisogna pur confessarlo. — non è tale da disarmare la critica, al contrario. gli oppositori ne trionfarono facilmente. Ma non poterono cosi di leggieri farsi beffe della musica E sa il cielo se l’avrebbero voluto!... ma come riuscir nell’intento, quando la musica è gaia, originale, elegante, bene scritta e meglio istrumentata! Strana cosa che il giudizio del pubblico, quando è quistione d’un’opera in musica, dipenda sopratutto dal merito del libretto. Ecco perchè il teatro più in favore di Francia è quello delV Opéra Comica; il genere che esso comporta è la commedia metà in prosa, metà in musica, fatta espressamente per una gente che si occupa più delle parole che delle note. Qui il pubblico vuole innanzi tutto l’interesse di quel che chiama con un nome generico «la pièce». Se questa è buona, o almeno se è tale da incontrar il suo favore, poco im[torta che la musica sia insufficiente; l’opera piacerà ed il teatro sarà pieno. Viceversa se il libretto non piace, l’opera cadrà, la musica fosse anche un capolavoro. Ciò è tanto vero che, nelle Rassegne musicali delle appendici dei grandi giornali, delle dodici colonne che contiene un feuilleton, una decina e più sono consacrate all’analisi del libretto, una alla esecuzione, ed il resto (vi domando un po’che cosa è questo resto! ) è riservato al rendiconto puramente musicale Si direbbe davvero che la musica non è che un accessorio, come nei vaudevilles! — Ed ecco perchè i diritti d’autore sono eguali tanto pel poeta che pel maestro, quasiché fosse la stessa cosa scrivere le parole del Guglielmo Teli che la musica! Ma che farci? Le cose vanno cosi, bisogna accettarle come sono. Per ritornare dunque al libretto A’Una Festa a Venezia, vi. ho detto che non è de’ più felici. Invano il Ricci ha tentato opporsi qua e là a qualche strafalcione degli autori del libro (poiché sono due, che questa volta non valgono un solo); essi non han ceduto, e tanto paggio per loro, giacché han dovuto cedere dopo la prima rappresentazione; voglio dire che sono stati obbligati di modificare, correggere, tagliar via tutto quello che era stato trovato inetto o ridicolo. Raffazzonato in tal modo il libro può passare, e non farà più torto alla musica, che, ripeto, è degna del Ricci. Vi sono, fra gli altri, quattro o cinque pezzi d’un merito veramente superiore, per esempio un duetto di donne, uno di voci d’uomini (tenore e baritono), una barcarola, una ballata per soprano, che ha tutte le sere gli onori del bis, ed un quintetto che è un vero capolavoro. Questo solo quintetto basterebbe alla rinomanza d’un compositore, e non., saprei se vi sono molti maestri francesi che possano scriverne uno eguale. Scriverlo migliore, noi credo. — Sicché, tenuto conto dell’invidia dei giovani compositori furiosi di veder che uno straniero era preferito, e tenuto conto della pochezza del libretto, Federico Ricci ha ottenuto un successo tanto più grande in quanto che era più difficile. Ma che un’altra volta non si faccia imporre scrittori che vogliono far a loro modo; che li sce’ga egli stesso. Non mancano qui poeti che sanno scrivere per compositori italiani. Che s’egli venisse a comporre, un’altra opera per uno dei teatri lirici di Parigi, ed incorresse di nuovo nel difetto del libro, si direbbe che la colpa è sua. Gli serva d’avviso il pericolo col quale s’è messo accettando con soverchia compiacenza il libro Una, Festa a Venezia. Malgrado la bella musica, poco è mancato che cadesse. Per buona fortuna alle rappresentazioni susseguenti, il pubblico ha saputo distinguere le qualità, i pregi della musica e liberare questa dalla solidarietà troppo onerosa del libretto. Ogni sera quasi tutti i pezzi, sono applauditi, e due o tre sono replicati. Il malcontento della prima rappresentazione è totalmente svanito. lersera ha esordito EA’Opéra una giovine artista che ha un nome italiano la Franchino. Era scritturata da sei settimane e non c’era mezzo che esordisse. Il direttore Halanzier non avendola mai intesa cantare in un teatro, non aveva gran fiducia in lei. Finalmente la signora Hisson che canta la parte di Selika xxeWAfricana ammala subitamente Conviene o toglier cartello o dar la parte ad un’altra. Ma chi può cantarla, cosi alla sprovvista, senza prove, avvisata soltanto il dì innanzi? La Franchino si affida di cantarla Halanzier un po’ titubante, finisce per consentire. La sua sorpresa ha dovuto essere estrema, quando ha veduto la bell’accoglienza che il pubblico MAV Opéra ha fatto alla giovine esordiente. Notate che ei voleva gran coraggio per cantare la parte di Selika, nella quale la Sax.e aveva lasciato cosi brillanti ricordanze. Aggiungete che tutti gli amici della