Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1872.djvu/84

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ei donò della musica del Rubinstein, dello Schumann e del Beethoven colla più squisita interpretazione. Il pubblico seppe rimeritarlo a dovere. La campagna che avea anche fatto tra noi lo speculatore Ulmann non portò alcun pregiudizio al Becker e tutto il contegno di questa nobile brigata rivela uno spirito di compostezza e di arte che veramente edifica. Daranno sei concerti. Per la primavera ei si promette la signora Patti con una serie di opere italiane al teatro della Wieden; tanto meglio, dico; purché l’impresario non si conduca dietro come di solito un serraglio. Un solo nome non basta ancora a salvare un’opera; altrimenti anche la speculazione è sbagliata. Perdiamo la signora Salvioni, la prima ballerina dell’Opera Imperiale. Chi la dice stanca di applausi e di antipatie, chi la vuole fidanzata a non so quale conte in Russia, chi la desidera altrove per cedere il posto a qualche protetta, certo è che la Direzione del teatro accettò la sua dimissione e col cader di maggio altre piazze l’avran più fortunate. Osservo che da noi studiasi più di musica, che non se ne faccia. Ho raccolto sul tavolo una serie di lavori critici, di storia, di biografìe, di appunti concernenti questa disciplina. E naturale; noi siamo, dirò- così, da madre natura disposti e dal clima favoreggiati a ricercare i minuti meandri dello svolgimento di ogni fatto e sebbene talor ei condensiamo nelle filosofiche caligini, non crediamo tuttavia di perdere malamente il tempo. Lasciatemi un po’ di tempo e ve ne scriverò. fRoma, 1 marzo 1872. Vi do una grave notizia; a Roma è imminente una rivoluzione. contro la Casa Ricordi. I discendenti di Quirino si lagnano, e forse non a torto, di essere da voi trattati come se fossero abitanti di Abbiategrasso, o di Peretola, o di Tivoli, o di qualche altro più oscuro borgo. In primo luogo qui erano aspettate con grande ansietà le riduzioni per canto e per pianoforte dell’AzW, ma ne giunse un numero di esemplari cosi microscopico che la maggior parte dei dilettanti rimasero a bocca asciutta, e si incominciò a dire che i Ricordi non avevano un’alta idea della coltura musicale dei Romani, poiché avevano fatto calcolo che cinque o sei esemplari di un nuovo spartito bastassero a soddisfare la curiosità di una città di 240,000 abitanti. Poi è sorta un’altra voce, che vi voglio riferire, perchè mi piacerebbe che intorno alla medesima somministraste qualche spiegazione. Rispondono ’alle interpellanze anche i ministri; fate conto che sia un oratore della sinistra anche io che in fin dei conti son mosso unicamente dal desiderio di darvi un’occasione per manifestare le vostre intenzioni. Si dice pertanto che, fallita ogni probabilità di mettere in scena Y Aida per quest’anno, l’impresario Jacovacci ve l’ha chiesta per l’anno prossimo, dichiarandosi disposto a far le cose per bene, vale a dire ad accettare tutte quelle eque condizioni che al maestro Verdi ed a voi fosse piaciuto d’imporgli, formando una compagnia di canto da sottoporsi- all alta vostra approvazione, aumentando i cori, l’orchestra, ecc., ecc. È vero o non è vero? Queste voci sono poste in giro dallo stesso Jacovacci e dai •suoi amici, i quali soggiungono che avete risposto con un rifiuto categorico ed inesorabile, dicendo che per T anno venturo i romani non devono pensare sAY Aida. Non credo che l’amico Jacovacci sia il più generoso degli impresari, ed in questo momento mi trovo io stesso impegnato, nell’appendice dell’Opinione, impegnato in una polemica contro gli spettacoli che da parecchi mesi c’imbandisce all’Apollo. Ma se veramente per Y Aida era •disposto a far senno, ed a sciogliere i cordoncini della borsa ed a rispettare i diritti dell’arte, non so darmi ragione della ripulsa. Permettete ch’io vi parli francamente. Roma, volere o volare, ù una città che va trattata coi guanti. Ammettiamo pure che la vostra Milano sia la capitale morale, ma qui è la capitale di’ fatto, qui la sede del Parlamento, qui la residenza della corte, •qui il convegno dì molti uomini illustri nella politica, nelle scienze, nelle arti. Ed in questa città esiste un sentimento di nobile orgoglio che non è lecito offendere. A Roma non si può rispondere con un no secco e poco cortese; bisogna addurre i motivi del rifiuto, e devono essere motivi validi e legittimi. Se il maestro Verdi e voi vi giovaste dell’-4&&z per costringere la Deputazione degli spettacoli e l’impresario ad introdurre salutari riforme negli ordinamenti del teatro Apollo, tutti ve ne sarebbero grati e vi darebbero lode. Ma quel rispondere no senza neanche entrare in trattative, senza dare spiegazioni di sorta, senza ammettere la possibilità che la dura ripulsa sia in seguito modificata, è cosa che urta profondamente questa popolazione, come so che ha urtato i fiorentini, ai quali mi dicono che sia stata data uguale risposta. Sincero difensore della proprietà letteraria ed artistica, vedo con dolore che qui a Roma da questi fatti si vuol trarre argomento per combattere il principio stesso della proprietà, come sempre accade quando un principio qualsiasi è portato all’esagerazione, e non vorrei che alla Camera o al Senato, dove sono ancora in sospeso molte questioni relative alla proprietà, si udisse l’eco dolle lagnanze, che sorgono nelle piazze e nei caffè. A Roma non mancano certamente i mezzi di eseguire convenientemente Y Aida... almeno quanto a Parma e a Padova; è duopo soltanto costringere l’impresario ad adoperarli. Vi ho fatto questa lunga tiritera, perchè a calmare gli animi è urgente una vostra dichiarazione che ristabilisca la verità dei fatti, se fu alterata dagli amici dell’impresario. Ignoro se pubblicherete questa corrispondenza, ma persuadetevi che riassume fedelmente ciò che qui si pensa e si dice su questo affare del— YAida, ed anche un tantino ciò che si dice a Firenze, dove, come sapete, ho conservato molte relazioni. Con ciò non è mia intenzione di attenuare le colpe del signor Jacovacci, il quale quest’anno si fa canzonare. Dopo una mediocre esecuzione dei Vespri Siciliani in cui ebbero parte la Lotti, il Campanini, il Cottone ed il Vecchi, ei ha data una disgraziatissima Beatrice di Tenda, che si è retta unicamente per virtù della zignora Vitali, cantante veramente di prim’ordine. Ora ei si prepara quel lungo sbadiglio musicale che è la Virginia, una delle più deboli opere del Mercadante, e poi si chiuderà la stagione colla Tramala già rappresentata l’autunno scorso allo stesso teatro Apollo e sulla quale si prevede fin d’ora che si scateneranno i fulmini degli abbonati stanchi di tante corbellature. Al Capranica abbiamo un Trovatore impossibile, al Valle Don Bucefalo col Bottero, che al solito, è il re della festa. Egli è discretamente secondato dalla Trebbi, dal Pieraccini e dal Papini. Per seconda opera, verrà rappresentato al Valle il Papà Martin del Cagnoni. Alla Filarmonica, dopo molti sforzi hanno fatto l’uovo, che io, ve lo confesso, non ebbi il coraggio di sorbirmi. E veramente inaudito che una società a buon dritto famosa per le sue masse corali, dovendo dare un concerto, scelga la Norma dì Bellini, opera che non si regge sui cori, ma sugli artisti principali che alla Filarmonica, se non. mancano affatto, non escono però dalla modesta sfera dei dilettanti. E poi non so immaginare una Norma in toilette di società ed un Pollione in cravatta bianca. Non dico altro perchè non essendo intervenuto a quella serata non potrei entrare in particolari. In altra lettera vi parlerò dei concerti di Carlotta Patti; per oggi vi saluto, e faccio voti affinchè dalla vostra Paneropoli vi degniate di abbassare lo sguardo sulla cupola di San Pietro! A... CONTRO CORRISPONDENZA Milano, 2 Dicembre 1872. Cariss. d’Arcais — Roma. Vi ringrazio cordialmente per quanto mi scrivete qui sopra, perchè mi date agio a metter in chiaro le cose. Il nostro bravissimo impresario e carissimo amico Jacovacci, meglio che contar frottole a destra ed a mancina, avrebbe potuto far leggere o pubblicare la lettera ultima direttagli dall’Editore Ricordi: e poiché non l’ha fatto, gli risparmio l’incomodo e lo faccio