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ANNO XL. — N. 5. 1.° FEBBRAIO 1885 DIRETTORE GIULIO RICORDI REDATTORE SALVATORE FARINA SI PUBBLICA OGNI DOMENICA ★ Sommario: Alcune idee non nuove, ma non inutili sul canto, la pronuncia ed i teatri dell’estero: Edwart. — Francis Planté. — Le Villi, Opera-ballo in due atti di Ferdinando Fontana, musica di Giacomo Puccini. — Concerto di Beniamino Cesi: Il Misovulgo. — Concerti di Luisa Connetti a Treviso e Torino. — Alla rinfusa. — Corrispondènte: Napoli, Venezia, Firenze, Genova, Ferrara, Reggio nell’Emilia, Cagliari, Parigi, Brusselle, Malta. — Teatri. — Concorsi. — Necrologie. — Rebus. — Inserzioni.

  • Illustrazioni: Francis Piante, disegno di Nino Besta.

ALCUNE IDEE non nuove, ma non inutili sul canto, la pronuncia ed i teatri dell’estero l titolo è riuscito un po’ lunghetto, ma non è colpa mia se ho voluto esprimere in una sola volta nè di più, nè di meno di quello che mi sono prefisso di dire in questo breve articolo. In uno dei passati numeri della Gaietta accennavo ad una duplice scuola di declamazione che esiste nel R. Conservatorio di Biuxelles, l’una intenta a formare attori, l’altra riservata ai soli cantanti. Perchè non si prendano abbagli e non mi si faccia dire quello che non penso, è bene notare che io troverei da noi affatto inutili queste due scuole, e mi accontento di una, quella destinata ai cantanti (parlando in rapporto al Conservatorio nostro); a Milano per gli attori esisteva e deve esistere ancora un’ottima scuola di declamazione annessa al teatro de’ Filodrammatici. Questa scuola ebbe scelti istruttori; basterà citare Alamanno Morelli, il De Rossi, e, migliore di tutti in ordine alla coltura letteraria, il povero Giovanni Ventura, geniale e notissimo poeta vernacolo (1). Dico povero, perchè ne’ suoi ultimi anni, egli ebbe a passare giornate assai dolorose, grazie ad intrighi di qualcuno che voleva sbarazzarsi di lui, trattandolo come arnese da ferravecchi. E fu grave, indimenticabile ingiustizia. — Il teatro dei Filodrammatici subì in questi ultimi tempi una radicale modificazione e pare sarà aperto per conto della privata speculazione. Non credo però che la scuola sia stata soppressa. Questa sarebbe stata una misura eccessivamente pratica, ma giusta per chi trova che è più utile far danaro che far dell’arte o preparare degli artisti. Un’altra ed importantissima ragione per la quale da noi non si potrebbe aggiungere al nostro Conservatorio una sezione per la drammatica si è la mancanza assoluta di quel magico quid che prosaicamente si chiama danaro. Bisogna figurarsi che manca perfino per provvedere la biblioteca delle opere stampate in partitura per uso degli studiosi (senza facoltà, bene inteso, di rappresentazione); e sì che ei sarebbe da comperare tutto il repertorio di Wagner, di Gounod, la Regina di Saba del Goldmark, ecc. Ma vengo al concreto, cioè alla ragione del mio articolo. Meno alcune eccezioni, i nostri maestri di declamazione sono valenti attori od ex-attori, o letterati, i quali, considerando l’arte del canto da un loro esclusivo punto di vista, si ostinano a volere insegnare ai cantanti la buona pronuncia toscana come si farebbe per un attore o per (1) Dopo di lui subentrò quale istruttore di questa scuola Amilcare Belotti e, questi morto, il Landozzi. un’attrice. Errore questo gravissimo, perchè mette lo studioso in contraddizione flagrante colle regole imparate per la migliore emissione della voce. La buona pronuncia, pel cantante, è una risultante di regole speciali, tutte poggiate sulla diversità dei timbri, e non è la stessa che per un attore. Il cantante si preoccuperà di far bene spiccare le dentali, le labiali, le palatine, per quel che riguarda le consonanti, ma tutte le sue vocali saranno, per forza, subordinate all’indole della buona emissione della propria voce. La migliore, più sana, più espansiva e durevole emissione è quella delle vocali aperte o chiare, come chiamar si vogliano. Non potrà dunque il cantante obbedire ad un maestro di declamazione che gli insegni, per esempio, a dire giovani coll’0 stretto, come è di regola nella lingua italiana e come si verifica in parecchie parole. Così dicasi della vocale e, che i cantanti, sempre a seconda dei timbri, pronunciano preferibilmente aperta. — Dunque per concludere, bisogna ricorrere al vecchio proverbio milanese: offellee fa ei to mestee. Tengano quindi gli attori e le attrici per la lingua parlata la loro pronuncia e lascino ai maestri di musica l’insegnare quella applicata al canto: le due cose non possono punto camminare di pari passo. — Notisi che parlando di maestri di musica, intendo dire di quelli che possiedono veramente la propria arte, che ne hanno il culto e conoscono tutte le più recondite tradizioni del repertorio. — La voce deve essere considerata come una tavolozza. Il cantante è il vero pittore del sentimento: povero è quell’artista che non conosce e non sa impiegare tutti i colori di quella sua preziosa tavolozza. Con quella egli incanterà il pubblico, lo affascinerà, lo soggiogherà, sia ch’egli esprima la serena gioia, lo spavento, lo strazio, l’amore, lo stupore e via dicendo. — Un vero cantante trova un diverso timbro per esprimere ciascuna di queste diverse od opposte sensazioni. Ai nostri giorni non è più Varie che si studia; non si prepara più una giovane voce cogli studi d’esercizi vocali, di solfeggi, di vocalizzi ad affrontare le difficoltà del repertorio. Meno alcune scarse ma onorevoli eccezioni, una pleiade di ex-artisti, digiuni di ogni cognizione musicale, colla frase solita della impostazione della voce, mettono in bocca, ad orecchio, ai loro allibi.un’opera o due, e dopo pochi mesi li espongono al pubblico. Ed ecco un artista improvvisato. Questi non conosce nemmeno il tempo ordinario, e se il direttore in orchestra poi deve battere la sestupla, gesummaria! il povero esordiente perde addirittura la tramontana. — Già è da notare che questi ex-artisti fanno sempre la fortuna di molti bravi giovani, che essi mettono al pianoforte come accompagnatori. In realtà chi insegna al novellino cantante gli spartiti è dunque l’accompagnatore, il quale il più delle volte fa, insieme al guadagnare qualche lira al giorno, il suo tirocinio di apprendista. Di qui vengono quelle varianti, quelle cosidette puntatore che deturpano ed insultano le più belle musiche dei nostri grandi compositori; di qui vengono quei tagli barocchi che guastano del tutto V economia complessiva od il disegno, le proporzioni di un intero pezzo di musica. Di qui infine quelle esecuzioni vergognose che devono far meravigliare i forastieri i quali sentano in uno dei nostri minori teatri lo strazio della musica italiana. È però doloroso a dirsi: ciò che concorre in gran parte ad abituare il pubblico a questi strazi sono gli artisti chè portano gran nome, si danno il vanto di celebrità e succhiano alla cassa dell’impresa o più precisamente alle casse municipali vistose somme ad — 41 —