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Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1889 vol. I.djvu/344

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Il coro dall’interno, con un colorito nuovissimo, si sposa bellamente a quell’istrumentale; entra in scena Fidelia, il suo primo canto è una di quelle melodie che ho chiamato belle senza pretendere d’essere completamente nuove, ma è gentile; l’uditorio simpatizza col compositore. Il racconto che segue, sempre di Fidelia, è al contrario nuovissimo nell’idea e si sviluppa con tanta naturalezza, che piace a tutti.

L’entrata di Tigrana è una di. quelle trovate istrumentali di cui Puccini conosce il segreto, e il primo suo recitativo fa comprendere come quel diabolico personaggio femminile sia stato indovinato dal maestro; quindi le cose belle si seguono, la parte di Tigrana meraviglia per la sua verità. Non tanto invece mi piace l’aria seguente di Frank, baritono; sembra un'aria un po' monotona, anche se nei dettagli istrumentali c'è qualche cosa di bellissimo e un canto, parmi, dei violoncelli, di effetto.

Alla scena sesta, in cui ricompare Tigrana, troviamo uno dei pezzi più robusti dell’opera. Davvero che oggi è ben difficile l’arte della composizione, perfino un brano di musica come cotesto, che il Meyerbeer potrebbe aver concepito, anche dopo che al pubblico piacque tanto da domandarne ad alte grida il bis in tutte e tre le esecuzioni, perfino un pezzo come cotesto, dico io, alcuni accusano di volgarità!! Mio Dio, volgare forse perchè c’è l’unissono, se appunto l’unissono sarebbe strettamente richiesto in tale caso? volgare forse perchè è una frase larga, ampia, magniloquente? Per carità, si pensi prima di discorrere, non si disse mai castroneria più madornale; la musica ha sue leggi supreme; la musica non può, non deve sottomettersi a tutte le bizze d’un’altra arte. È un’invettiva quel pezzo, una precazione; nulla dunque è di troppo se la musica è forte, maschia, irrompente, pomposa! Puccini rivelò appunto in quel pezzo l’energica fibra musicale che possiede, e glielo hanno detto col loro plauso tremila persone, meno due, le quali due subiscono la sorte del proverbio, che una noce in un sacco non fa rumore! Buona la frase di Edgar e piena di vita la maledizione; ottimi particolàri si hanno pure nella breve scena che segue ed il: Tigrana vieni, sorge su quella bizzarra e assieme irrompente frase di cui prima ho detto. Il concertato che precede il finale, è vero che sarà costato a Giacomo Puccini qualche buona giornata di lavoro per architettarlo, che anzi gli sarà costato qualche anno di Conservatorio per imparare a farlo, ma tutto ciò che comporta, quando sorge uno che può dirgli in due minuti, come costesto pezzo, essendo ponchielliano, non merita considerazione?

Per parte mia, dopo aver infatti riconosciuto in cotesto pezzo la fisonomia del maestro del Puccini, cosa più che naturale, riconosco anche che desso è uno stupendo concertalo, e che sulla sua maggiore o minore opportunità in quel momento piacemi notare, che opere modello, di quelle in cui non si trova nulla da ridire, hanno appunto consimili concertati prima dello svolgimento dell’azione, anche quando in dette opere modello son frutto d’una sola mente musica e poesia!

Il brano orchestrale del duello è cosa di grande pregio, delineato stupendamente, ma lo: si prolunga invece di troppo di per sè stesso; forse si può, parmi, renderlo anche più conciso, ei guadagnerebbe assai la conclusione dell’atto.

Il secondo atto subisce, nè più nè meno, la sorte di tutte le opere che ne hanno quattro, è drammaticamente e musicalmente il meno riuscito, pure è bellissima la scena di Edgar, una specie di romanza, che solamente sembrami all’ultimo sviluppo bruscamente affrettata, per il canto, si intende, chè anzi l’orchestra completa benissimo quel che può dirsi il pezzo.

Il brindisi, specie di bolero, è, secondo me, il più bello dei pezzi consimili; desso passa come un fulmine, è di grande, immediato effetto, concertato e strumentato egregiamente; e dopo questo brindisi-bolero, c’è quella stupenda scena che puossi chiamare della seduzióne; Tigrana ha qui delle cose addirittura superiori, in questa scena, lo affermo e sfido chi me lo contraddice, Puccini si fa credere un maestro che è al fine del suo tirocinio e non al principio. La marcia, musicalmente buona, è forse un poco rumorosa per eccedenza di ottoni, e per quei tamburi non del tutto in carattere; quindi si hanno buoni particeli, ma di effetto un po’ languente, e questo languore non basta a scuoterlo nemmeno il grande inno fiammingo, che è pure tanto superiore per musica a tanti altri inni; ma gli deve nuocere il tono, perchè mi è sembrato rimanga un poco compresso, soffocato, talché il grido finale disturba, perchè sorge troppo di schianto. Qui, credo, Puccini prenderà il pennello e darà qualche nuova pennel-