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Libro terzo | 141 |
d) il rappresentante o il testimone di una vertenza d’onore, che per la tutela del proprio cliente, usa frasi vivaci, le quali non intaccano l’onorabilità altrui, nè direttamente, nè con allusioni;
e) il marito tradito, anche se non si divide dalla moglie, e non vi siano figli, se provocato dal ganzo;
f) il marito che avesse insultato, anche con vie di fatto, il seduttore, sorpreso anche fuori delle pareti domestiche, in flagranza di turbata pace coniugale;
g) chi venisse aggredito per sorpresa;
h) il provocato ed offeso senza plausibile motivo, che è in obbligo di rivolgersi al Tribunale penale;
i) chi venisse sfidato senza plausibile motivo;
k) chi venisse sfidato da persona la quale si rifiutasse di domandare spiegazioni, soddisfazione o riparazione con un cartello di sfida non corrispondente alle consuetudini (articoli 96, 119, 153, 240 k) ecc.; o che pretendesse di non attenersi alle prescrizioni delle regole cavalleresche (veggasi nota all’articolo 241); o rifiutasse l’intervento della Corte d’onore, o negasse di significare i motivi della sfida;
l) chi venisse sfidato, perchè offensore, dopo trascorse 48 ore dall’ingiuria, o dal momento, in cui l’offeso venne a conoscenza dell’insulto;
m) chi venisse sfidato da persone alle quali è interdetto l’onore delle armi, o che non godono buona reputazione (De Rosis, III, 24°);
tanto più che quasi sempre le parole vivaci, pungenti, irritanti sono inserite nelle conclusionali e nelle note aggiunte, alle quali non è possibile rispondere, con intenzione prevalente di giustificare il proprio contegno giudiziario.