Pagina:Gelli - Codice cavalleresco italiano.djvu/252

Da Wikisource.
226 Codice cavalleresco italiano


ART. 385.

Durante la lotta i testimoni devono seguire con la più grande attenzione le fasi dello scontro per arrestare il combattimento alla prima ferita toccata, a fine di giudicarne l’entità; per interporsi e separare i combattenti, se venissero infrante le leggi d’onore, o non osservate le condizioni speciali del duello; non per parare i colpi mortali, come in generale si crede dai profani nelle armi (Châteauvillard, IV, 22°).

ART. 386.

Chi si ridusse per sua volontà a mal partito, non ha il diritto di fare assegno sul sentimento d’umanità del direttore del combattimento o di uno dei testimoni per essere liberato dalla disagevole condizione, nella quale per sua colpa si trova.

Nota. — Se ha ceduto i quindici o i venti metri, che gli furono assegnati per schermirsi in ritirata, imiti l’audacia dell’avversario, e riprenda l’offensiva per riconquistare il terreno perduto.

I padrini metteranno, perciò, in terra alcuni fazzoletti, oppure conficcheranno nel suolo un segnale qualunque, al di là del quale sia interdetto l’arretrarsi. Se questi mezzi, quasi morali, sono insufficienti ad arrestare la ritirata del duellante, lo si ponga colle spalle a cinque o a sei passi da un muro, da una siepe o da un fosso, o da altro ostacolo. A mali estrèmi, estremi rimedi!

ART. 387.

Se il duellante rifiutasse di sottomettersi alle disposizioni accennate, prese a suo riguardo dai testimoni, sarà sospeso il combattimento, e si redigerà apposito verbale, nel quale, constatati i fatti, gli si negherà ogni ulteriore soddisfazione (squalifica).