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228 Codice cavalleresco italiano


ridicolo il duello, si favorirebbero i codardi, i quali, ridotti dall’avversario a mal partito, facilmente se la caverebbero con nessun danno e poca vergogna, lasciandosi disarmare.

Nel duello il disarmo non significa aver vinto, e i vantaggi che se ne possono ritrarre sono essenzialmente morali. Il disarmato ne resterà più che mortificato, demoralizzato; mentre il vincitore ne sarà lusingato e si farà più ardito e fiducioso in sè stesso.

ART. 389.

Le consuetudini cavalleresche prescrivono che colui il quale ha disarmato l’avversario tanto in un attacco quanto in una parata, non può ferirlo, senza esporsi ad essere cancellato dal ruolo dei gentiluomini, e verrà deferito ad un Tribunale ordinario, per essere giudicato come un volgare delinquente (Angelini, XIV, 10°).

ART. 390.

Appena uno dei duellanti si accorge di avere disarmato l’avversario, deve istantaneamente arrestare la sua azione, saltare fuori misura e restare in guardia con la punta dell’arma a terra, in attesa degli ordini pel combattimento.

Nota. — Anche il disarmato si porti tosto fuori misura o salti lateralmente, giacchè in una battuta di sciabola o di spada, tirata diritta, o in una risposta semplice, appena trovato il ferro, è probabile che il colpo segua così da vicino e con tanta celerità di disarmo, da rendere impossibile ogni sforzo per trattenerlo.

Se l’arma, per le ragioni sopra esposte, andrà a ferire il bersaglio contro cui era diretto il colpo, non si accuserà di tale sventura la poca accortezza dei testimoni, che non l’hanno parato, e tanto meno di colui che ha