Pagina:Gemme d'arti italiane - Anno I, Carpano, 1845.djvu/128

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Venere quel colore così diverso dalle altre. La perfezione non è meta che si raggiunga a’ primi passi, e le smodate lodi tornano ad insulto di chi sa conoscer l’altezza in cui è posta. Vorrei sì bene persuadere agli schizzinosi seguaci degli scolastici precetti ch’egli non peccò né di temerità né di irriverenza se tenne strada diversa dai maestri, e credette acconciar l’opera sua ad un tipo più conforme all’indole dell’età nostra. Simpatico egli ci presentò quel sembiante; dolce e ridente quel viso, non è celestiale, io concedo, ma è amabile al paro e più di tanti altri, e tutto considerato, il suo difficil lavoro manifesta ingegno nudrito di buoni studi, occhio osservatore del vero, e mano addestrata al più dilicato magistero dell’arte sua.

Quel modello che io lodava per tal maniera in Roma nel 18391, non poté per sopraggiunti lavori, esser tradotto in marmo che or ora. Io salutai nelle sale di Brera la statua del Bisetti, coll’espansione con cui altri risaluta un amico conosciuto in terra straniera. Né la lontananza od il tempo valsero ad intiepidire il mio affetto, che anzi, - Caso strano! - la giovinetta che io avea ammirata cinque anni addietro, non solamente non mostrava traccia del tempo trascorso, ma è senza dubbio diventata più fresca, più avvenente. L’acconciatura delle chiome, le pieghe del velo, nelle quali io avea notato allora alcuna menda, le trovai bellamente mutate, e qualche dura ed inamabile linea che scemava la gentilezza delle forme si è rammorbidita quasi per incanto, talché fui ben lieto che la Venere da me amata

  1. Mentre la Statua era esposta in Milano, il Bisetti ebbe da Roma commissione di scolpirne una seconda.