Pagina:Georgiche.djvu/108

Da Wikisource.
108

De l’amicleo Polluce, e tai di Marte
I cavalli a noi pinsero, e d’Achille
I greci vati; e in simile destriero
Trasformossi Nettun, quando da Rea
150Colto in furtivi amor lasciò sul collo
Cadersi i crini, e rapido fuggendo
Su l’alto Pelio di nitriti acuti
La conscia spaventò Fillira amante.

     Quando però da non sanabil morbo,
155O da lunghi anni infievolito ei langue,
Tu chiuso allora ne le stalle il serba,
E a l’onorata e di riposo degna
Sua vecchiezza perdona. Inetto e freddo
Sempre è il vecchio in amor, e in vani sforzi
160Consumasi anelando; e se talvolta
A la battaglia avventasi, repente
In lui, qual debil vampa in secca paglia,
In breve langue inutile furore.
E l’età dunque, e l’indole, e le doti
165Varie procura d’indagar, da quale
Schiatta derivi, e qual nel corso mostri
Senso di gloria a riportar la palma,
O dolor d’esser vinto. E non vedesti
Nel circo allor che da le aperte sbarre
170Impetüosi a divorar l’arringo