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96 LA GERUSALEMME

VIII.


     Qual’i fumi sulfurei, ed infiammati
Escon di Mongibello, e ’l puzzo e ’l tuono;
Tal della fera bocca i negri fiati,
60Tale il fetore e le faville sono.
Mentre ei parlava, Cerbero i latrati
Ripresse, e l’Idra si fè muta al suono:
Restò Cocíto, e ne tremar gli abissi;
64E in questi detti il gran rimbombo udissi:

IX.


     Tartarei Numi, di seder più degni
Là sovra il Sole, ond’è l’origin vostra,
Che meco già dai più felici regni
68Spinse il gran caso in questa orribil chiostra;
Gli antichi altrui sospetti, e i fieri sdegni
Noti son troppo, e l’alta impresa nostra.
Or colui regge a suo voler le stelle,
72E noi siam giudicate alme rubelle.

X.


     Ed in vece del dì sereno e puro,
Dell’aureo Sol, degli stellati giri,
N’ha quì rinchiusi in questo abisso oscuro,
76Nè vuol ch’al primo onor per noi s’aspiri.
E poscia (ahi quanto a ricordarlo è duro!
Quest’è quel che più inaspra i miei martíri)
Ne’ bei seggj celesti ha l’uom chiamato;
80L’uom vile, e di vil fango in terra nato.