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108 LA GERUSALEMME

XLIV.


     Ma il primo lustro appena era varcato
Dal dì ch’ella spogliossi il mortal velo;
Quando il mio genitor, cedendo al fato,
348Forse con lei si ricongiunse in Cielo:
Di me cura lasciando e dello stato
Al fratel ch’egli amò con tanto zelo;
Chè se in petto mortal pietà risiede,
352Esser certo dovea della sua fede.

XLV.


     Preso dunque di me questi il governo,
Vago d’ogni mio ben si mostrò tanto,
Che d’incorrotta fe, d’amor paterno,
356E d’immensa pietade ottenne il vanto.
O che ’l maligno suo pensiero interno
Celasse allor sotto contrario manto;
O che sincere avesse ancor le voglie,
360Perch’al figliuol mi destinava in moglie.

XLVI.


     Io crebbi, e crebbe il figlio; e mai nè stile
Di cavalier, nè nobil’arte apprese;
Nulla di pellegrino o di gentile
364Gli piacque mai, nè mai troppo alto intese:
Sotto deforme aspetto animo vile,
E in cor superbo avare voglie accese:
Ruvido in atti, ed in costumi è tale,
368Ch’è sol ne’ vizj a se medesmo eguale.