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CANTO SESTO. | 177 |
LIII.
Soggiunse l’altro allora: e tu prometti
Di tornar, rimenando il tuo prigione;
Perch’altrimenti non fia mai ch’aspetti
420Per la nostra contesa altra stagione.
Così giuraro: e poi gli araldi eletti
A prescriver il tempo alla tenzone,
Per dare spazio alle lor piaghe onesto,
424Stabiliro il mattin del giorno sesto.
LIV.
Lasciò la pugna orribile, nel core
De’ Saracini e de’ Fedeli impressa
Un’alta maraviglia, ed un orrore
428Che per lunga stagione in lor non cessa.
Sol dell’ardir si parla, e del valore
Che l’un guerriero e l’altro ha mostro in essa.
Ma qual si debba di lor due preporre,
432Vario e discorde, il volgo in se discorre.
LV.
E sta sospeso, in aspettando, quale
Avrà la fera lite avvenimento:
E se ’l furore alla virtù prevale,
436O se cede l’audacia all’ardimento.
Ma più di ciascun altro, a cui ne cale,
La bella Erminia n’ha cura e tormento:
Chè da i giudícj dell’incerto Marte
440Vede pender di se la miglior parte.