Pagina:Gerusalemme liberata I.djvu/227

Da Wikisource.

CANTO SETTIMO. 201

V.


     Non si destò finchè garrir gli augelli
Non sentì lieti e salutar gli albóri,
E mormorare il fiume e gli arboscelli,
36E con l’onda scherzar l’aura e co’ fiori:
Apre i languidi lumi, e guarda quelli
Alberghi solitarj de’ pastori:
E parle voce udir, tra l’acqua e i rami,
40Ch’ai sospiri ed al pianto la richiami.

VI.


     Ma son, mentre ella piange, i suoi lamenti
Rotti da un chiaro suon ch’a lei ne viene,
Che sembra ed è di pastorali accenti
44Misto, e di boscarecce inculte avene.
Risorge, e là s’indrizza a passi lenti,
E vede un uom canuto all’ombre amene
Tesser fiscelle alla sua greggia a canto,
48Ed ascoltar di tre fanciulli il canto.

VII.


     Vedendo quivi comparir repente
Le insolite arme, sbigottir costoro;
Ma gli saluta Erminia, e dolcemente
52Gli affida, e gli occhj scopre e i bei crin d’oro.
Seguite, dice, avventurosa gente
Al Ciel diletta, il bel vostro lavoro;
Chè non portano già guerra quest’armi
56All’opre vostre, ai vostri dolci carmi.