Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
50 | LA GERUSALEMME |
L.
E dirò sol, ch’è quì comun sentenza
Che i Cristiani togliessero l’imago;
Ma discord'io da voi; nè però senza
396Alta ragion del mio parer m’appago.
Fu delle nostre leggi irriverenza
Quell’opra far che persuase il Mago;
Chè non convien ne’ nostri tempj a nui
400Gl’idoli avere, e men gl’idoli altrui.
LI.
Dunque suso a Macon recar mi giova
Il miracol dell’opra, ed ei lo fece
Per dimostrar che i tempj suoi con nova
404Religion contaminar non lece.
Faccia Ismeno, incantando, ogni sua prova,
Egli, a cui le malíe son d’arme in vece:
Trattiamo il ferro pur noi cavalieri;
408Quest’arte è nostra, e ’n questa sol si speri.
LII.
Tacque, ciò detto: e ’l Re, bench’a pietade
L’irato cor difficilmente pieghi,
Pur compiacer la volle: e ’l persuade
412Ragione, e ’l move autorità di preghi.
Abbian vita, rispose, e libertade,
E nulla a tanto intercessor si neghi.
Siasi questa o giustizia, ovver perdono,
416Innocenti gli assolvo, e rei gli dono.