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Pagina:Gerusalemme liberata II.djvu/220

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196 LA GERUSALEMME

LXVIII.


     E quando sembra che più avvampi e ferva
Di barbarico incendio Italia tutta:
E quando Roma, prigioniera e serva,
540Sin dal suo fondo teme esser distrutta;
Mostra ch’Aurelio in libertà conserva
La gente sotto al suo scettro ridutta.
Mostragli poi Foresto che s’oppone
544All’Unno regnator dell’Aquilone.

LXIX.


     Ben si conosce al volto Attila il fello,
Che con occhj di drago par che guati:
Ed ha faccia di cane, ed a vedello
548Dirai che ringhi, e udir credi i latrati.
Poi vinto il fiero in singolar duello
Mirasi rifuggir tra gli altri armati:
E la difesa d’Aquilea poi torre
552Il buon Foresto dell’Italia Ettorre.

LXX.


     Altrove è la sua morte; e ’l suo destino
È destin della patria. Ecco l’erede
Del padre grande il gran figlio Acarino,
556Che all’Italico onor campion succede.
Cedeva ai fati, e non agli Unni Altino:
Poi riparava in più secura sede:
Poi raccoglieva una Città di mille
560In val di Po case disperse in ville.