Pagina:Gerusalemme liberata II.djvu/25

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CANTO UNDECIMO. 13

XXXV.


     Vedeasi in alto il fero Elvezio asceso
Mezzo l’aereo calle aver finito,
Segno a mille saette, e non offeso
276D’alcuna sì che fermi il corso ardito:
Quando un sasso ritondo e di gran peso,
Veloce, come di bombarda uscito,
Nell’elmo il coglie, e ’l risospinge a basso:
280E ’l colpo vien dal lanciator Circasso.

XXXVI.


     Non è mortal, ma grave il colpo e ’l salto
Sì ch’ei stordisce, e giace immobil pondo.
Argante allora in suon feroce ed alto:
284Caduto è il primo, or chi verrà secondo?
Chè non uscite a manifesto assalto,
Appiattati guerrier, s’io non m’ascondo?
Non gioveranvi le caverne estrane;
288Ma vi morrete come belve in tane.

XXXVII.


     Così dice egli; e per suo dir non cessa
La gente occulta; e tra i ripari cavi
E sotto gli alti scudi unita e spessa
292Le saette sostiene, e i pesi gravi;
Già l’ariete alla muraglia appressa
Machine grandi, e smisurate travi
C’han testa di monton ferrata e dura.
296Temon le porte il cozzo e l’alte mura.