Pagina:Gerusalemme liberata II.djvu/279

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CANTO DECIMONONO. 251

XXIII.


     La man sinistra alla compagna accosta,
E con ambe congiunte il ferro abbassa:
Cala un fendente: e benchè trovi opposta
180La spada ostil, la sforza ed oltre passa:
Scende alla spalla, e giù di costa in costa
Molte ferite in un sol punto lassa.
Se non teme Tancredi, il petto audace
184Non fè natura di timor capace.

XXIV.


     Quel doppia il colpo orribile, ed al vento
Le forze e l’ire inutilmente ha sparte:
Perchè Tancredi, alla percossa intento,
188Se ne sottrasse, e si lanciò in disparte.
Tu, dal tuo peso tratto, in giù col mento
N’andasti, Argante, e non potesti aitarte:
Per te cadesti; avventuroso intanto,
192Ch’altri non ha di tua caduta il vanto.

XXV.


     Il cader dilatò le piaghe aperte,
E ’l sangue espresso dilagando scese.
Punta ei la manca in terra, e si converte,
196Ritto sovra un ginocchio, alle difese:
Renditi, grida: e gli fa nuove offerte,
Senza nojarlo, il vincitor cortese.
Quegli di furto intanto il ferro caccia,
200E sul tallone il fiede: indi il minaccia.